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Protesta dei trattori: «Bisogna chiedere un cambiamento radicale del sistema di sostegno del mondo agricolo»

L’ex assessore all’Agricoltura Giovanni Pensabene interviene sulla querelle tra agricoltori, governo e Unione Europea

La dilagante protesta degli agricoltori ha avuto il merito di mettere in discussione una Politica Agricola Comunitaria e, a cascata, nazionale e regionale, che ha prodotto non pochi disastri dall’inizio degli anni ’90 del secolo scorso ad oggi. Non tutti gli agricoltori che stanno manifestando sono mossi dalle stesse motivazioni. I piccoli e medi produttori agricoli, che sono poi la grandissima parte degli agricoltori italiani, sono le vere vittime di decenni di politica agraria a favore delle grandi aziende agricole, concentrate soprattutto nel centro e nord Europa.

La protesta di questi giorni, a differenza di altre del passato, più divisive nel merito e nei contenuti, ha avuto un elemento unificante nell’individuare l’aumento insostenibile dei costi di produzione e lo scarso, o nullo, potere di contrattazione sul prezzo alla vendita dei prodotti agricoli, quasi interamente determinato dalla Grande Distribuzione Organizzata (GDO), di cui solo una piccola percentuale, mediamente inferiore al 20%, finisce nelle tasche degli agricoltori.

Questa protesta è cresciuta da sola, senza e spesso contro le Organizzazioni Agricole, ignorata dall’onnipresente ministro Lollobrigida, desaparecido in questi giorni, ha conquistato la simpatia dei cittadini, nonostante le difficoltà provocate alla mobilità, ed ha, piano piano imposto l’ordine del giorno alle decine di talk show del nostro sistema radiotelevisivo. A questo punto sono entrati in scena i tuttologi/cassazionisti, quelli che non esprimono opinioni ma emettono sentenze inappellabili. Stranamente hanno spesso le stesse fattezze di quelli che discettavano di covid prima e di guerra e sanzioni economiche risolutive della guerra stessa dopo.

Ebbene costoro hanno presto individuato il vero obiettivo degli agricoltori nella svolta green, più presunta che reale, della nuova PAC che deve essere quindi assolutamente bloccata. La commissione europea al primo rombare dei motori dei trattori vicino a Bruxelles ha cominciato a fare delle concessioni in questo senso e, magicamente, sono ricomparsi personaggi politici finora scomparsi dai radar.

Meloni con annesso cognato capotreno, nonché presunto ministro dell’agricoltura, ha subito dichiarato che le richieste del governo Italiano sono state accolte. Strano che fino a ieri nessuno sapesse nulla di queste richieste e strano anche che avessero problemi a farsi ascoltare dal Commissario all’Agricoltura della UE, il loro amico e sodale polacco Janusz Wojciechowski, ma tant’è! Il vero problema è però che nessuna delle sbandierate conquiste darà risposta alle richieste della maggioranza degli agricoltori Italiani: il contenimento dei costi di produzione, una maggiore voce in capitolo sulla formazione dei prezzi al consumatore dei prodotti agricoli, una maggiore tutela delle produzioni nazionali, ad esempio dagli effetti collaterali della guerra in Ucraina, sostenuta con centinaia di miliardi di euro in armi e munizioni dall’Italia e dalla Ue, con l’invasione dei nostri mercati del grano prodotto in quel paese, di minore qualità e a prezzi decisamente più bassi, prima destinato ad altri mercati internazionali.

Vengono venduti come vittoria degli agricoltori risultati che interessano solo una parte minima degli stessi, i grandi proprietari terrieri, ovvero l’obbligo di lasciare a riposo una piccola percentuale di terreno, peraltro già sospesa nel 2023, sempre per la guerra in Ucraina, e il presunto stop al nuovo regolamento sui prodotti fitosanitari (pesticidi) che in realtà era stato già bloccato a novembre dal voto congiunto di destre e PPE al parlamento europeo, rimandando il tutto alla prossima legislatura.

Infine viene stralciata dagli obiettivi della riduzione di emissione di gas serra per il 2050 la parte riguardante l’agricoltura, che non è poca cosa ed è quasi interamente imputabile alle grandi aziende e ai grandi allevamenti iperintensivi. In definitiva se si confermasse questa tendenza vincerebbe ancora una volta lo status quo ante, ovvero un sistema che da circa 60 anni concentra l’80% dei soldi pubblici in agricoltura nelle tasche di meno del 20% dei beneficiari che in buona parte non sono neanche agricoltori ma banche, assicurazioni e speculatori vari.

Bisogna chiedere un cambiamento radicale del sistema di sostegno del mondo agricolo, un sistema che canalizzi i fondi sul reddito degli agricoltori impegnati a produrre in modo sostenibile soprattutto nelle aree interne collinari e montane, destinate altrimenti ad uno spopolamento senza fine che da una parte concentra la popolazione nelle grandi aree urbane, con i problemi connessi, e dall’altra vede peggiorare , in seguito all’abbandono dell’attività agricola, il dissesto idrogeologico del nostro territorio.

Giovanni Pensabene

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