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Omaggio di Edouard III_Miniatura des Grandes Chroniques de France (1375-1380), Bibliothèque Nationale de France (2)
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Quando gli astigiani riuscirono a “mettere le mani” sui gioielli della Corona inglese

Prestarono denaro ai Re Edoardo I ed Edoardo III per finanziare le loro guerre e in cambio ricevettero in pegno alcuni preziosi che facevano parte del tesoro reale

La recente scomparsa della più longeva Regina d’Inghilterra, Elisabetta II, ha letteralmente segnato uno spartiacque nella storia. Durante i giorni che hanno anticipato i funerali della sovrana e subito dopo la nomina a re di Carlo III, si è a lungo parlato dei gioielli della Corona come simbolo di unità e di governo del regno. Gioielli che, in un lontano passato, sarebbero potuti “diventare” astigiani, almeno in parte. Non proprio quelli conservati oggi alla Torre di Londra, ma i gioielli trecenteschi della Corona, all’epoca di proprietà di Re Edoardo I Plantageneto (1239-1307).

Tutto nasce dalla partecipazione dell’Inghilterra alla “Guerra di Fiandra” contro la rivale di sempre, la Francia. Re Edoardo I ha bisogno di parecchi soldi per finanziare la sua spedizione militare quindi, appena sbarca sul continente, chiede un prestito a chi i soldi li aveva davvero: i commercianti astigiani, noti oltralpe con l’appellativo generico di “lombardi”. «A quel tempo gli astigiani facevano prestiti su pegno, un po’ come avviene oggi al Banco dei Pegni – racconta il ricercatore di storia e sigillografia medievale Luca Campini che ha rievocato questa vicenda, insieme al perito numismatico Luca Oddone, nell’ultimo numero della rivista Monete Antiche – i commercianti astigiani prestavano soldi a chiunque ne avesse bisogno, dal contadino ai nobili, sempre chiedendo indietro delle garanzie. Si trattava di coprirsi economicamente dal rischio d’impresa e certo prestare soldi a re Edoardo, impegnato in guerra, era senza dubbio rischioso. Così gli astigiani decisero di formare una piccola società che mettesse insieme il capitale necessario per finanziare la guerra. A Edoardo I fu quindi concessero un credito di 4.300 lire (1.000 lire erano l’equivalente di circa 200.000 euro di oggi ndr), ma in cambio si fecero consegnare, in pegno, i gioielli della Corona per un controvalore garantito di ben 7.015 lire, pertanto superiore al 60% del denaro prestatogli».

Il monarca consegna i gioielli agli astigiani il 3 ottobre 1297, ma riesce a ripagare il debito il 16 maggio 1298, entro i termini stabiliti, rientrando in possesso dei preziosi prima che gli astigiani potessero, da contratto, impossessarsi dei preziosi dati in pegno. Comunque un affare per gli astigiani che in sette mesi guadagnarono qualcosa come 860 lire, ovvero il 20% di interessi. «Ricordo che il pezzo più importante dei gioielli consegnati agli astigiani – aggiunge Campini – apparteneva alla Regina, un copricapo decorato con perle, oro e pietre preziose, per un valore stimato che raggiungeva le 1.000 lire». Insomma, i nostri antenati si trovarono tra le mani oggetti per circa 1.500.000 euro al cambio attuale.

«Comunque rivendere parte dei gioielli della Corona – continua il ricercatore – non sarebbe stato facile perché non c’erano così tanti acquirenti capaci di spendere una cifra simile. Durante tutto il prestito, i gioielli furono conservati a Liegi o in un altro luogo ritenuto opportuno, come si legge nell’atto notarile stipulato tra le parti, tranne il pezzo più prezioso che fu conservato a Bruxelles in custodia di un astigiano e sotto il controllo del Duca di Brabante. Alla fine Edoardo I cedette il credito a una banca fiorentina, quella dei Frescobaldi, che saldarono il conto con gli astigiani».

Ma non fu quella l’unica occasione nella quale gli astigiani si misero in affari con un re inglese. Capita anche con Edoardo III (1312-1377), nipote di Edoardo I. Impegnato nella Guerra dei Cento Anni, sbarca sul continente e, tanto per cambiare, ha bisogno di soldi. «Questa volta la cordata di astigiani pronti a finanziare le imprese del re era anche più importante della precedente – racconta Campini – sebbene questo monarca riuscì a mandare sull’orlo del fallimento alcune banche fiorentine a forza di chiedere in prestito denaro. Edoardo III aveva bisogno di urgente liquidità e poiché le banche toscane non avevano più la possibilità di finanziarlo, si rivolse agli astigiani che erano in contatto con la Corona grazie ai loro traffici di lana. In previsione quindi degli ingenti crediti necessari al sovrano per condurre la guerra, gli astigiani fondarono una cordata societaria per dividersi il rischio d’impresa, il cui nome, noto attraverso le fonti inglesi è “Società dei Leopardi”».

Non un prestito unico come avvenne con il nonno Edoardo I ma, in questa circostanza, nel corso dei diciotto anni di attività della società (1338 al 1356), vengono elargite alla monarchia inglese più crediti da parte della cordata di lombardi astigiani. «Per riassumere la straordinaria entità del credito concesso alla monarchia inglese dai casanieri astigiani, solo a Edoardo III d’Inghilterra furono complessivamente concessi circa 58.000 lire, di cui almeno 29.000 lire da parte della Società dei Leopardi. In cambio di queste somme di denaro prestate, oltre agli enormi interessi a tassi ovviamente usurari, gli astigiani ottennero importanti benefici come poter continuare indisturbati e in una posizione privilegiata il commercio della lana e quello di essere riconosciuti mercanti della Corona inglese, ufficialmente incaricati nel 1345 nella gestione del cambio a Londra, York e Canterbury, con tutte le tutele che questo comportava».

Due affaroni per i lombardi/astigiani che hanno solo accarezzato l’ipotesi di poter mettere le mani sui gioielli della Corona, anche solo per rivenderli. Ma chissà se, in questo caso, Asti non avrebbe avuto un pezzo di storia inglese da conservare nelle sue possenti cas(s)eforti medievali.

[Le informazioni storiche del caso sono state reperite dalla pubblicazione dell’articolo La Societas Leopardorum astese e le prime monete auree di Edoardo III d’Inghilterra (1327-1377), di Luca Oddone e Luca Campini, pubblicato su «Monete Antiche» 125, 2022]

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