Ad un anno dall’invasione russa in Ucraina, venerdì 24 febbraio con partenza alle 18, Rete Welcoming Asti invita tutti a partecipare ad un corteo per la pace contro tutte le guerre. Il ritrovo è in piazza Roma e il corteo si concluderà in piazza San Secondo con gli interventi delle realtà della società civile che vi aderiscono.
La generosità astigiana per i profughi ucraini: un anno dopo.
La metà di loro è tornata in patria o è emigrata altrove, ancora oggi arrivano persone in fuga dalla guerra
L’Astigiano ha fatto una parte grandissima nell’accoglienza di chi stava scappando dai bombardamenti.
I primi ad arrivare sono stati quelli che nella nostra provincia già avevano parenti o amici che ci vivevano e che si sono offerti di ospitarli. Poi, mano a mano che i giorni passavano e la guerra si inaspriva, sono cominciati ad arrivare i profughi senza riferimenti.
E la società civile ha risposto con una straordinaria disponibilità nel mettere a disposizione case, vestiti, cibo, tempo.
Tante le associazioni e gli enti che si sono spesi, ma una su tutte ha gestito la “questione Ucraina” con grande impegno: la Caritas.
«Dallo scoppio della guerra abbiamo accolto complessivamente 85 persone – dice Beppe Amico, direttore Caritas di Asti – coinvolgendo molti territori nell’accoglienza: Asti, Agliano, Calosso, Montechiaro, San Damiano, Cantarana, Villafranca, Cinaglio, San Martino Alfieri, Chiusano».

Di questi circa la metà non sono più in carico perchè dopo un periodo di permanenza provvisoria nell’Astigiano, hanno cercato autonomamente altre soluzioni di accoglienza presso parenti o comunità sparse nel mondo: Canada, Romania, Polonia o semplicemente altre città del Piemonte e d’Italia.
E poi ci sono stati i ritorni in patria, nonostante la guerra non sia finita.
«Molti sono rientrati per tornare ad occuparsi dei parenti anziani o feriti dai bombardamenti -prosegue Amico – mentre altri sono tornati per non perdere il posto di lavoro nella prospettiva del ritorno alla normalità a guerra finita. Sono state partenze drammatiche, le loro».
L’accoglienza astigiana è stata importante anche per persone malate e disabili. Il Rotary ha preso in carico due bambini che porta regolarmente alle visite al Gaslini di Genova. Lo Zonta Club sta invece sostenendo gli studi universitari di una brillante studentessa ucraina.
Quello che non è più sotto i riflettori è il fatto che gli arrivi non sono mai cessati e ancora oggi continuano ad arrivare profughi ucraini che scappano dai posti più bombardati. Tenendo conto che, nella stessa Ucraina ci sono oltre 7 milioni di profughi interni che vagano da una città all’altra in continuazione alla ricerca di casa, cibo, lavoro, denaro, pace.
Anastasiia e il papà al fronte a Bakhmut, città simbolo della resistenza ucraina
Camerano Casasco
È rientrata in patria alla fine di agosto, con tante aspettative: la voglia di riabbracciare la famiglia e di ricominciare la scuola, per affrontare l’ultimo anno prima delle superiori. In realtà le lezioni continuano a svolgersi “a distanza”; ma Anastasiia ha festeggiato a casa nello scorso settembre i suoi 14 anni e per l’occasione ha avuto accanto a sé anche il papà, impegnato ora nuovamente al fronte, nei combattimenti di Bakhmut, città del Donbass simbolo della resistenza ucraina.

Anastasiia era giunta in Italia per sfuggire alla guerra il giorno di Pasquetta dello scorso anno, grazie al programma di ospitalità dei “bambini di Chernobyl” dell’associazione “Arca solidale” che ha sede a Orio Canavese e ha trascorso la primavera e l’estate a Camerano Casasco, ospite della famiglia di Ivana Cortese, presidente della Pro Loco, e Gino Zanchetta, consigliere comunale. A fine agosto ha fatto ritorno a Kuchynivka, villaggio di campagna di circa mille abitanti a nord est di Kiev, nei pressi di Chernihiv, dove vive con la mamma, il papà e la nonna.
«Siamo stati in contatto con Nasti fino a fine gennaio: già nei giorni precedenti aveva avuto problemi per un guasto al suo telefono, che poi era riuscita a far riparare, ma pochi giorni dopo si sono di nuovo interrotti i contatti con lei – ci racconta la signora Ivana – Probabilmente anche riparare un telefono può essere complicato in questo momento, ma non nascondo che siamo preoccupati e abbiamo chiesto all’associazione di cercare di avere notizie attraverso i loro contatti». «Finché ci siamo potuti sentire, la situazione nel villaggio in cui vive Anastasiia era abbastanza tranquilla, anche se la preoccupazione è sempre alta, soprattutto per l’impegno del papà al fronte: era rimasto anche ferito, ma senza conseguenze per fortuna gravi – aggiunge Ivana Cortese – Ora attendiamo notizie e speriamo di riuscire presto a metterci in contatto con lei». Un legame quello tra i Zanchetta e la giovane Anastasiia sempre molto forte: un affetto nato con l’ospitalità nell’ambito del programma di accoglienza dei “bambini di Chernobyl” e che si è cementato ancor più nei mesi trascorsi a Camerano per sfuggire alla guerra. Nell’Astigiano Anastasiia ha frequentato la scuola e vissuto giorni di pace con Ivana, Gino e le loro figlie. In questi mesi Ivana e Gino hanno cercato di portare aiuto ad Anastasiia anche attraverso l’invio di pacchi contenenti vari generi di cui può avere necessità o piacere: «Nasti non chiede mai nulla, altrimenti saremmo ben contenti di poter fare di più per lei e la sua famiglia. Ora speriamo però di poterla risentire presto e un domani riabbracciarla».
«Siamo scappate dalle bombe, ora ci piacerebbe restare qui»
Canelli
La vita di Yulia era improntata alla tenacia già nell’ordinario. Ragazza madre, senza genitori, si barcamenava tra due lavori e le passioni della figlia, Zlata, 7 anni, prima ancora che le bombe cadessero su Cherson. Con l’aiuto dell’interprete Chiara Scoffi, racconta la sua storia.
«Ricordo quel 24 febbraio. Un boato; pensavo fosse un terremoto. Tremavano i muri, si staccavano i mobili. Poi la telefonata di un’amica. “Fai la valigia e scappa. Stanno arrivando i russi” mi disse». Yulia era incredula. Attorno a sé ha tutta la sua vita: una figlia, un lavoro, una casa, un’auto. Partire? Per dove? L’autorità ha intimato di non lasciare le case. Yulia e Zlata per due mesi vivono in cantina per sopravvivere ai bombardamenti. «Fino a quando c’è stato il governo ucraino le bombe erano anticipate dalle sirene – continua – dopo la conquista russa nessun avvertimento anticipava le esplosioni, di giorno e di notte».

Mamma e figlia escono il minimo per comprare il poco cibo disponibile, sempre più caro a causa della speculazione e della corruzione. Quando Zlata ha cominciato ad avere crisi di nervi, allora Yulia si è decisa a scappare. «Abbiamo provato per tre volte – continua – Non c’erano frontiere chiuse, ma mille posti di blocco che ti rimandavano a casa. Siamo stati costretti a passare per le campagne, per i boschi». Arrivata in Polonia, regna la confusione. Un indirizzo su un foglio e Yulia e Zlata, con la propria auto, arrivano a Caorle in Veneto da una famiglia di imprenditori che però pretende la terza dose del vaccino anti-Covid anche per la bambina. «Io non avrei avuto problemi ma la bambina aveva già completato il ciclo di due dosi. Ci hanno detto di lasciare la casa entro il giorno successivo». E tramite Caritas arrivano a Canelli. «Ci stiamo adattando – spiega Yulia – Qui tutto è diverso. Ma apprezziamo enormemente l’aiuto che ci viene dato. L’Italia è un paese democratico, dove la Sanità pubblica aiuta tutti. Ci sentiamo protetti».
Svetlana, Olga, Iulia: la fuga dalla guerra è stata una “questione di donne”
Quella della fuga dall’Ucraina invasa è stata soprattutto una storia al femminile.
Questo perchè gli uomini (giovani e adulti) non potevano allontanarsi perchè in età di richiamo per l’esercito e gli uomini anziani sono rimasti per fare quello che potevano in sostituzione di figli e nipoti.
La prima storia che raccontammo un anno fa è stata quella di Svetlana, moglie del sindaco di Pino d’Asti Aldo Marchisio che si trovava qui in Italia da tre giorni quando c’è stata l’invasione. Da turista a profuga senza passare dal via.
E’ rimasta a Pino per un mese circa, poi con un coraggio da leonessa, ha affrontato un terribile viaggio di ritorno per non lasciare sole la madre e la nonna anziane. Da allora è riuscita a tornare in Italia una volta sola a trovare il marito, sempre con viaggi lunghissimi e molto faticosi. La zona in cui vive non è al centro dei bombardamenti, ma manca tutto e hanno la corrente elettrica solo per 2 ore al giorno.

Non è rientrata mai invece Iulia, fidanzata con Matteo Nespolo, titolare di un’azienda agricola di Refrancore. Lei viveva nella moderna città di Irpin, fra le più bombardate, dove lavorava in un grande magazzino di lusso. Là ha lasciato i genitori, la sua casa distrutta e, sempre a causa dei problemi di elettricità e di linee, tutte le sue giornate, da allora, sono vissute con angoscia e con la ricerca di modi di comunicare con la famiglia per sapere se stanno tutti bene. Vive in un luogo sicuro, lei, ma la “non vita” che conduce a causa dell’angoscia è un sottoprodotto della guerra.
Pensava di rimanere in Italia solo qualche mese invece Olga, ex giocatrice di basket di Nikolaev, è ancora qui con i suoi tre figli. Dopo un lungo periodo di ospitalità presso i proprietari del ristorante Il Picchio di Tigliole, ad Olga è stato assegnato un alloggio a Mombercelli e i suoi tre figli hanno cominciato scuola: prima elementare, prima media e prima superiore all’Artom. Lei è una donna straordinariamente forte, che in Ucraina ha lasciato il marito che riesce a contattare solo sporadicamente. Guarda i suoi figli ed è riconoscente ogni giorno dell’accoglienza dell’Astigiano. Ora pensa a farsi riconoscere la patente di guida per essere ancora più indipendente.
La prima famiglia arrivata, oggi è integrata grazie anche al cuore di un sindaco
Montechiaro
Dopo un anno dallo scoppio della guerra e dalla conseguente emergenza profughi che ne è scaturita sono undici gli ucraini presenti in paese. Tra di loro c’è ancora la famiglia che per prima aveva raggiunto l’Astigiano, nel febbraio – marzo 2022. Si tratta della famiglia Mylnikov, Yevhen e Svitlana con i loro tre figli: Daniil, Vitalii e il piccolo Denys. «In questo anno si sono integrati benissimo – spiega il sindaco Paolo Luzi che si è sempre adoperato in prima persona per la loro accoglienza e inserimento – lavorano, vanno a scuola e partecipano alle attività sociali e di festa del paese. Sono persone splendide che non hanno mai preteso nulla, accettando tutto. Aiutarli è stato un dovere».

E proprio questo aiuto non è mai venuto meno da Luzi che si è sempre reso disponibile non solo nella sua veste di sindaco ma anche e soprattutto in prima persona, un dovere civico e morale che emerge chiaramente dalle sue parole. «L’ho fatto perché sui loro volti leggevo la tristezza. Hanno perso tutto. Vivevano una vita come tutti noi e, improvvisamente, da un giorno all’altro, hanno perso ogni cosa. Niente lavoro e casa bombardata. Arrivavano da una cittadina vicina alla Crimea, una delle zone più pericolose e più soggette ai bombardamenti russi. Hanno percorso migliaia di chilometri e, quando sono arrivati qui, immaginate che cosa raccontavano i loro volti». Ecco quindi che questa famiglia è stata praticamente adottata da Luzi che l’ha accompagnata nel suo percorso di integrazione anche burocratico per il lavoro e per la scuola dei ragazzi.
Dopo di loro sono giunti a Montechiaro, nello scorso anno, altri ucraini; alcuni di loro sono rimasti e altri invece sono voluti, o dovuti, tornare in Patria. Nessuno, però, si è dimenticato di Luzi a tal punto da mandargli costantemente notizie tramite messaggi o telefonate, segno del forte legame che li unisce. L’ultimo episodio proprio qualche settimana fa, nel giorno del compleanno del sindaco, quando gli undici ucraini presenti in paese hanno voluto organizzare una festa a sorpresa con tanto di torta e di messaggi d’auguri che arrivavano anche dall’Ucraina. «Un bel momento, molto emozionante che mi ha riempito il cuore. Le loro storie mi hanno sempre molto toccato e ho cercato di aiutare come meglio potevo. È stata una delle esperienze più belle e gratificanti da quando sono sindaco».
Sono tante le persone e le associazioni del paese, e non solo, che hanno dato una mano ai profughi: «La lingua sicuramente rappresenta un grande ostacolo, anche se in questo anno hanno fatto passi da giganti. A tal proposito voglio ringraziare l’Istituto scolastico Artom di Asti per il bel progetto di socializzazione e di alfabetizzazione sulla lingua italiana che sta portando avanti con tutti i ragazzi stranieri tra cui alcuni profughi ucraini».
Il lavoro di aiuto verso i profughi non è ancora certamente terminato a Montechiaro: «Stiamo cercando di approfondire con la Caritas alcune situazioni che necessitano di accoglienza – spiega Luzi – nei prossimi giorni faremo le pratiche per ospitare altre persone che hanno necessità. Purtroppo questo conflitto non pare destinato a terminare presto e il nostro impegno deve continuare».