Cerca
Close this search box.
Picchio Paolo e Stella Perrone
Attualità
Incontro

«Ragazzi, difendete chi viene preso di mira dai bulli»

È solo uno dei tanti spunti di riflessione emersi dall’incontro con gli studenti astigiani tenuto da Paolo Picchio, papà di Carolina, vittima di cyberbullismo

«Ragazzi, mi raccomando, ricordatevi: un abbraccio vale più di mille like».
Così Paolo Picchio ha concluso il suo intervento, venerdì scorso nell’aula magna del Polo universitario astigiano, facendo riferimento al titolo dell’incontro a cui era stato chiamato come ospite, in qualità di fondatore della Fondazione Carolina.
Una realtà nata dopo un fatto tragico: il suicidio della figlia Carolina, avvenuto nel gennaio 2013 all’età di 14 anni, dopo essere stata vittima di un grave episodio di cyberbullismo.
Invitato dall’istituto superiore Vittorio Alfieri, scuola polo contro il bullismo e il cyberbullismo, e dall’associazione Genitorinsieme, ha tenuto un commosso e convinto intervento di fronte ad oltre 150 studenti, cui se ne aggiungevano altri 2.500 collegati on line.

La vicenda

«Non sono psicologo né avvocato – ha esordito – ma solo un papà. Il papà di Carolina, che era una ragazzina normalissima: sportiva, intelligente, empatica, bella e per questo un po’ invidiata, anche se non ne percepiva in rischio. Il 5 gennaio 2013 si è lanciata dal balcone di casa dopo una tragica vicenda che l’ha vista vittima».
Per poi raccontare gli antefatti.
«Faceva parte di un gruppo di ragazzi della scuola – ha ricordato – da cui poi si era allontanata perché si era resa conto di avere più interessi rispetto a loro nella vita. Quei ragazzi avevano allora cominciato a prenderla in giro, per la strada e suoi social network, ma lei rispondeva a tono senza farsi troppi problemi.
Allora hanno deciso di punirla in modo da farla veramente soffrire. L’hanno invitata ad una festa, dove lei aveva bevuto troppo e si era sentita male, perdendo conoscenza. Allora alcuni ragazzi cominciarono a simulare atti sessuali e riprendendo il tutto con il telefono cellulare. Io ero andato a prenderla alle undici di sera, ma nessuno di quei ragazzi mi aveva detto nulla. Avevo poi chiesto a mia figlia cosa fosse successo, e lei mi aveva risposto che non ricordava niente.
Non contenti, per infierire ulteriormente, quei ragazzi hanno postato sui social il video, che fino a quel momento avevano fatto “girare” tra loro. A quel punto il cervello di Caterina è andato in corto circuito perché si era sentita profanata, attrice di un film che non aveva in realtà vissuto. Considerando poi che, subito dopo la pubblicazione, aveva cominciato a ricevere migliaia di insulti (del tipo “Cosa continui a vivere?”), non ce l’ha più fatta. Prima di lanciarsi dal balcone, però, ha avuto la lucidità di scrivere una lettera in cui motivava il suo gesto come conseguenza del bullismo».

La lettera

Una lettera fondamentale per la ricostruzione della verità. «Grazie alle sue parole – ha proseguito – si è tenuto il primo processo di cyberbullismo in Italia ed è stata scritta la prima legge in Europa su questa materia (approvata all’unanimità in Parlamento il 17 maggio 2017), che obbliga le scuole ad attuare percorsi educativi sull’argomento. Soddisfazione? No, perché ho perso una figlia meravigliosa. Ma la sua lettera mi ha spinto a dare vita alla Fondazione per contrastare questo fenomeno».

La fondazione

La Fondazione attualmente ha tre sedi – Milano, Perugia e Palermo – e comprende uno staff composto da psicologi, avvocati e formatori. Organizza incontri e conferenze nelle scuole, si occupa di ricerca in collaborazione con le principali università italiane e attua un servizio di pronto intervento, in accordo con il Ministero dell’Istruzione, a favore delle scuole alle prese con gravi episodi di bullismo. Frutto del lavoro svolto anche il sito www.minorionline.com, che fornisce strumenti ai genitori per aiutarli a fare in modo che i figli utilizzino i social network in modo consapevole. Per ogni social, infatti, vengono indicati caratteristiche e consigli pratici.
«Rileggendo quella lettera migliaia di volte dopo la sua morte – ha continuato Paolo Picchio – sono rimasto colpito in particolare da una frase: “Spero che adesso siate tutti più sensibili sulle parole”. Ecco la molla che mi ha spinto a cominciare a parlare non dei ragazzi, ma con i ragazzi».

I consigli

Rivolgendosi agli studenti, Picchio ha quindi ricordato la pericolosità insita in uno smartphone. «Tra le mani avete uno strumento bellissimo – ha affermato – che però può fare molto male. Anche perché i vostri genitori, quando ve l’hanno regalato, non vi hanno parlato dei pericoli che derivano da un suo utilizzo non corretto. Come sapete, alla vostra età un “pollice verso” su un social network può fare soffrire, un’offesa a livello emotivo ha lo stesso effetto di una coltellata. Ma quando ciò si verifica, la colpa non è solo dei bulli, ma anche di tutti coloro – amici, conoscenti – che assistono alle offese e non dicono nulla a difesa delle vittime. Prendete il caso di mia figlia. Se solo uno dei presenti alla festa mi avesse informato di quanto era successo, quando ero andata a prenderla, io avrei preso le contromisure necessarie. E mia figlia, adesso, avrebbe 25 anni».
Da qui l’invito a condividere, con gli adulti di riferimento (genitori, insegnanti), tutto ciò che fa soffrire. «Non chiudetevi – ha concluso – ma confidatevi sempre. E credete nella fisicità dell’amicizia e dell’affetto: un abbraccio vale più di mille like».

Condividi:

Facebook
Twitter
WhatsApp

Le principali notizie di Asti e provincia direttamente su WhatsApp. Iscriviti al canale gratuito de La Nuova Provincia cliccando sul seguente link

Scopri inoltre:

Edizione digitale