Domenica e lunedì, 8 e 9 giugno, si andrà a votare per il Referendum in tema di lavoro e cittadinanza. Sui quesiti referendari legati al mondo dei lavoro abbiamo messo a confronto le ragioni del Sì, espresse dal segretario provinciale della Cgil, Luca Quagliotti e quelle del No, espresse dal direttore della Confartigianato di Asti, Giansecondo Bossi.
Il primo quesito referendario mira all’abrogazione integrale della disciplina sui licenziamenti del contratto a tutele crescenti, con l’intento di consentire il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 nelle imprese con più di 15 dipendenti. Quali ritenete siano le principali conseguenze, positive per il “sì” e negative per il “no”?
Luca Quagliotti: Con il sì non reintroduciamo l’articolo 18 della Legge 300, ma l’articolo 18 modificato dalla Fornero che prevedeva la possibilità, da parte del giudice, di un reintegro se non ci fosse la causale del licenziamento. Se il giudice ritiene che un lavoratore sia stato licenziato senza causa, allora predisporrà il reintegro. Oggi in media, dopo un licenziamento senza motivo, ti danno sette mensilità, invece quando un lavoratore ha la possibilità di essere reintegrato, prende gli stipendi non pagati fino a quella data e, se vuole, può contrattare una buona uscita.
Giansecondo Bossi: Le valutazioni su un licenziamento ingiusto sono fatte da soggetti deputati, però quando gli imprenditori licenziano qualcuno è perché ci sono persone con le quali è difficile continuare un rapporto di lavoro. In realtà un artigiano ha tutto l’interesse a mantenere l’occupazione sapendo le difficoltà che ha nella ricerca di manodopera.
Il secondo intende eliminare il tetto massimo all’indennità (attualmente fissato a 6 mensilità, con possibili maggiorazioni) in caso di licenziamento illegittimo nelle piccole imprese con meno di 16 dipendenti, lasciando al giudice la determinazione del risarcimento. La vostra opinione in merito?
Quagliotti: Quando parliamo di piccole aziende non è detto che non abbiano grandi capacità economiche. Uno può anche avere quattro dipendenti, ma fatturare 500 milioni l’anno. Oggi il giudice, in caso di licenziamento illegittimo, può darti sei mensilità; domani potrà valutare la capacità economica dell’impresa, la tua situazione familiare, se hai persone in casa con la Legge 104 o dove vieni licenziato perché è differente essere licenziato in Basilicata o in Trentino. Il giudice farà le sue valutazioni e deciderà.
Bossi: Tenendo conto della grandezza media delle nostre imprese, reputiamo pericoloso immaginare che, a fronte di un licenziamento giudicato illegittimo, sia il giudice a stabilire il giusto indennizzo perché oggi l’80% dei contraddittori viene sanato con una contribuzione economica. Tutto questo anche se, oggettivamente, ci sono ragionevoli interessi che giustificherebbero il licenziamento. Le piccole imprese con uno o due dipendenti si troverebbero con un punto interrogativo sulla testa, mentre oggi hanno certezza che, comunque, entro un massimo di sei mensilità l’indennizzo può essere portato in dibattimento e la vertenza risolta. Insomma, potrebbe essere un elemento penalizzante per l’occupazione nelle microimprese.
Il terzo vuole abrogare le norme che consentono di stipulare contratti a termine fino a 12 mesi senza l’obbligo di specificare una “causale” o ragione oggettiva. Quali impatti prevedete che potrà avere il sì o perché siete contrari?
Quagliotti: Quella che viene modificata è la libertà, da parte dell’impresa, di assumerti lasciandoti appeso a un cappio. Ora per dodici mesi non hai la causale, poi per altri dodici sì e dopo puoi addirittura arrivare ad avere un contratto individuale, rispetto a una contrattazione “lavoratore-impresa”, in cui continui il tempo determinato per anni. Il che significa tenere dei lavoratori anche ricattabili perché non possono permettersi di dire nulla. Non è un caso che i salari italiani siano diminuiti da quando c’è stata l’esplosione della precarietà: chi è che scende in piazza per chiedere l’aumento dei salari quando non sa neanche se il giorno dopo continuerà ad avere un lavoro?
Bossi: Il contratto a termine è uno dei più diffusi nel mondo della microimpresa, ma non perché sia una furberia da parte di qualcuno, nel senso che finito il contratto ci si trova liberi nel mantenere l’occupazione o meno. Il contratto a termine per gli artigiani è linfa vitale quando non si ha certezza di commesse che si sviluppano in un asse temporale ben definito. È uno strumento flessibile ed è un cardine per il sistema delle nostre imprese. Per questo siamo contrari al fatto che si debbano indicare delle motivazioni specifiche sui contratti a termine e siamo preoccupati che questo possa precludere la possibilità di rinnovare i contratti a tempo determinato. Nove volte su dieci i contratti a tempo determinato, nel nostro settore, si traducono in occupazione stabilizzata.
Il quarto ha l’obiettivo di estendere la responsabilità per la salute e la sicurezza sul lavoro all’impresa appaltante, abrogando l’esenzione attuale. Come valutate l’impatto della proposta sulla prevenzione degli infortuni e sulla gestione della sicurezza nei contesti di appalto?
Quagliotti: Il quarto è un un quesito che punta alla sicurezza, alla vita delle persone. Va anche nella direzione di ridurre sensibilmente la possibilità da parte della criminalità organizzata di inserirsi nel meccanismo degli appalti pubblici. Perché se posso dare un appalto a Tizio, che lo può girare a Caio, che lo può passare a Sempronio, il primo della catena sarà a posto, ma che ne sappiamo dell’ultimo? Non sai con chi hai a che fare ed è possibile che ci siano aziende collegate alla criminalità organizzata. Il sì vuole riportare la responsabilità in capo al primo soggetto. Sappiamo bene che la sicurezza ha un costo, ma di subappalto in subappalto c’è chi risparmia proprio sulla sicurezza, se non anche sulle materie prime. O ripristiniamo la responsabilità delle imprese che devono verificare fino in fondo chi lavora per loro, o non usciamo da questo meccanismo. Lo dico ricordando che negli ultimi anni, nel sistema degli appalti, quando ci sono stati incidenti sono morte in media tre persone per ogni evento.
Bossi: Quando si parla di sicurezza negli ambienti di lavoro, ci sono regole ben precise che devono essere rispettate, che tu sia l’appaltante o il subappaltatore. Su questa partita c’è molta confusione perché ultimamente stanno criminalizzando i subappalti come se fossero l’officina delle irregolarità. Immaginare che il committente si ponga in una posizione di controllore, non avendo molte volte le competenze necessarie per poter svolgere quel tipo di controllo, visto che di regola lo demanda ad altri, rischia di compromettere e limitare le attività.
Quali saranno i potenziali effetti complessivi di queste abrogazioni sul mercato del lavoro, sull’occupazione e sulla competitività delle imprese nel nostro territorio?
Quagliotti: Se vince il sì estendiamo i diritti dei lavoratori e quindi recuperiamo un pezzo di dignità del mondo della lavoro. Poi le aziende dovranno finalmente investire sulla professionalità e non sulla flessibilità e questo fa in modo che ne beneficerà l’intero sistema.
Bossi: Se dovesse passare il sì, ci sarebbe una contrazione importante sia occupazionale sia economica, perché per le piccole/medie imprese le attuali norme sono basilari per poter avere quella dinamicità e flessibilità sul mercato che le contraddistingue. L’insieme delle norme sul mondo del lavoro è così complesso e articolato che molte volte scoraggia la possibilità di assumere un lavoratore. Se poi andiamo a togliere anche gli aspetti visti dalle imprese come una possibilità di generare ricchezza e occupazione, sarebbe pericoloso da un punto di vista economico. Aggiungo che dovrebbe essere il Parlamento a dover legiferare su questa materia.
[nell’immagine Luca Quagliotti e Giansecondo Bossi]