Un progetto cui il Prefetto di Asti Claudio Ventrice lavorava da tempo e che ha visto la sua attivazione nei giorni scorsi quando ha avviato il tavolo di lavoro per l’inserimento socio-lavorativo di richiedenti asilo e profughi che hanno ottenuto la protezione internazionale.
Un progetto che ha visto in prima fila anche l’Unione Industriale e l’Ance di Asti, fra i sottoscrittori del protocollo di promozione di percorsi formativi e di incontro fra domanda ed offerta di lavoro in riferimento agli stranieri presenti regolarmente sul territorio provinciale ospiti di centri di accoglienza.
«Abbiamo già la disponibilità da parte dell’Unione Industriale di assorbimento di alcune decine di rifugiati – commenta il Prefetto – e a questi saranno garantiti corsi di italiano, corsi di formazione specifica e un contratto regolare».
I settori di inserimento sono elencati da Andrea Amalberto, presidente dell’Unione Industriale di Asti: «Non è da oggi che lamentiamo la carenza di figure specializzate e qualificate per il mondo dell’industria. Ma – sottolinea – mancano anche autisti, mulettisti, facchini e operai edili. Riteniamo che questi profili possano collimare con una parte di rifugiati oggi ospitati nei centri di accoglienza».
Perchè i migranti non sono tutti uguali e molti di loro arrivano già mediamente o altamente scolarizzati e con titoli di studio e competenze acquisite nel loro Paese di origine.
Certo c’è il problema del riconoscimento di questi titoli di studio ma il tavolo avviato dal Prefetto rappresenta già un buon punto di incontro dopo una attenta selezione basata sulle dichiarazioni che vengono rese alla Commissione per l’accoglimento della loro domanda. Un argomento, quello sull’integrazione dei rifugiati, che il Prefetto conosce bene avendo presieduto per molti anni la Commissione di Novara.
Gli è nota la vulnerabilità in un Paese straniero e un posto di lavoro sicuramente garantisce loro stabilità e diritti. Anche a beneficio di tutta la comunità.
Esperienze sul campo: “Un ottimo protocollo ma arriva troppo tardi”
«Il tavolo di lavoro istituito dalla Prefettura è un’ottima iniziativa che va nella direzione giusta. Però arriva troppo tardi». Un giudizio che premia l’interesse sui rifugiati ma che trasuda di realismo quello di Alberto Mossino, presidente di Piam onlus, uno degli unici due gestori astigiani del SAI (Sistema Accoglienza Integrazione).
«A queste opportunità ci arriverà solo una piccola parte dei circa mille richiedenti asilo oggi ospitati nei centri di accoglienza astigiani».
E passa a spiegare il perchè: «Il recentissimo Decreto Cutro abolisce di fatto la protezione sociale dei richiedenti perchè non prevede più la consulenza legale, i corsi di alabetizzazione e introduce un meccanismo per i ricorsi ai “diniegati” che porterà a pochissime dichiarazioni di “rifugiato politico” e a tantissimi irregolari per strada».
Il nuovo Decreto Cutro, infatti, fortemente voluto, fra gli altri, dal Ministro Salvini, prevede che, una volta approdati in Italia, i richiedenti asilo vengano convocati in Commissione Rifugiati molto più in fretta che in passato. E questo potrebbe essere un vantaggio, se non fosse che non avranno più l’assistenza legale nei centri di accoglienza, nè verranno più loro impartite quelle prime lezioni di italiano per orientarsi nel nostro Paese. «E’ aumentata la lista dei Paesi di provenienza che automaticamente non danno diritto ad asilo – prosegue Mossino – pertanto ci saranno molti più dinieghi di adesso. Sarà ancora possibile fare ricorso, ma solo entro 15 giorni. Immaginatevi un ragazzino che arriva dall’altro capo del mondo, ha attraversato l’inferno, si è imbarcato, ha rischiato di annegare, si trova in commissione e spiega la sua storia solo attraverso qualche traduzione sommaria e quando gli viene consegnato il diniego non solo non ha idea del fatto che può ricorrere, ma neppure comprende di non poter restare in Italia. E quando lo capisce è troppo tardi per opporsi e diventa facile preda di chi è continuamente in cerca di persone da sfruttare, in qualunque campo. Da quello lavorativo a quello della malativa. Il Decreto Cutro è studato per diventare una “fabbrica di irregolari”».
Mossino conclude: «Chi ci guadagna? Non il richiedente che diventa un irregolare, non il mondo economico sano che cerca manodopera ma tutto il sommerso che può disporre di tanta “manodopera” in nero che sarà sempre sotto scacco».
Un ottimo protocollo, lo promuove Mossino, ma fuori tempo.
E non per colpa del Prefetto.
Storie di integrazioni lavorative felici: il caso Capriglio
Il piccolo paese conosciuto per aver dato i natali alla madre di Don Bosco è stato fra i primi, nel maggio del 2014, ad ospitare un centro di accoglienza di profughi prevalentemente provenienti dal Pakistan e dal Bangladesh.
Gestito dalla cooperativa BMA, l’ostello Mamma Margherita trasformato in centro di accoglienza, ha tante storie felici di integrazione lavorativa da raccontare lungo questi “quasi” dieci anni di storia.
C’è la storia di Sulman, arrivato ragazzino dal Pakistan con tanta voglia di riscatto. Ha studiato l’italiano, si è diplomato, ha preso la patente, ha fatto amicizia con le persone del posto e oggi è un apprezzato mediatore culturale che ha messo su famiglia e preso casa a Castelnuovo Don Bosco. E continua ad occuparsi di chi è arrivato dopo di lui.
E poi la storia di Sabuj, oggi addetto alla vendita di frutta e verdura per il supermercato Magnone e Alì che ha imparato a fare il panettiere all’Antico Forno di Mondo e poi ancora quella di tutti gli altri che hanno lavorato nei tirocini formativi da cantoniere nei comuni di Berzano, Pino, Capriglio, Cortazzone.
Molti di loro (soprattutto donne) hanno trovato lavoro nell’azienda di coltivazione Monalfungo e numerosi sono i ragazzi che lavorano presso vivai della zona o aziende agricole.
In questo momento c’è un gruppo di rifugiati, quasi tutti pachistani, che stanno facendo stage formativi a Lauriano Po, nell’azienda Pugliese: sono impiegati per fare i nodini alle mozzarelle. Un lavoro che un tempo facevano le mogli degli operai della Fiat provenienti dal Sud Italia. Un altro gruppo è in stage nella Val di Susa per la manutenzione del verde.
E poi c’è la storia più recente di Ismael, cittadino del Ghambia (nella foto di copertina). Anche lui arrivato con la traversata del Mediterraneo, nel suo Paese era vigile del fuoco e arbitro di calcio nella lega assimilabile alla nostra Serie B.
Il suo sogno è quello di poter arbitrare anche in Italia, e ha già chiesto alla Federazione come fare.
Intanto si mette a disposzione della nazione che lo ospita facendo il servizio civile in un Centro Diurno.
Tanti esempi di integrazione lavorativa riuscita che però nascondono anche problemi organizzativi non indifferenti.
«Il più importante è quello dei trasporti – dice Giorgio Ferrero, vice presidente della coop. BMA e responsabile dell’inserimento lavorativo del SAI – I paesi della provincia hanno pochi collegamenti ed è difficilissimo raggiungere il posto di lavoro: bus pochi, stazioni lontane, loro senza patente. Le offerte di assunzione ci sarebbero anche, ma i datori di lavoro devono accollarsi l’onere del trasporto. Come, per esempio, sta facendo Pugliese che ha organizzato un pulmino che ogni giorno viene a recuperare i tirocinanti e li riporta a casa».
Altro problema serio da affrontare con la ricerca del posto di lavoro è quello della casa.
«Una volta assunti, i rifugiati escono dal circuito dell’accoglienza e, avendo uno stipendio, possono affittare casa, spesso dividendo le spese in più connazionali. Pagare possono pagare, ma pochissimi sono disposti ad affittare loro una casa».
E per quelli impiegati nell’agricoltura va pure un po’ peggio perchè hanno contratti stagionali che scadono ogni anno per venire poi rinnovati. Ma non danno abbastanza garanzie.
«Non va sottovalutato neppure il grande ostacolo della lingua – dice ancora Ferrero – Grazie ai corsi di alfabetizzazione tutti comprendono l’italiano ma non sempre abbastanza per eseguire a dovere gli ordini per un lavoro più complesso, più fino».