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Attualità

Ristoranti, trattorie, osterie: un patrimonio del gusto che rischia di essere cancellato

Chef Enrico Pivieri del Cavallo Scosso lancia l’allarme sulla Fase 2: “Chi ha grandi capitali sopravviverà, gli altri rischiano di essere spazzati via”

L’emergenza Covid-19 rischia di spazzare via un patrimonio di gusti unico al mondo

Se è vero che l’Italia ha la cucina più invidiata e apprezzata al mondo, è altrettanto vero che a preservare questo tesoro di sapori sono i  ristoranti, le trattorie, le osterie, spesso locali a conduzione familiare, che sono stati travolti, come molti altri settori, dallo tsunami dell’emergenza sanitaria. Da un giorno all’altro le serrande si sono abbassate e così sono rimaste con gli imprenditori bloccati dai vari DPCM e senza garanzie per il futuro.

Chi ha potuto, ma soprattutto chi era già attrezzato, si è parzialmente convertito al delivery con ordini on line e recapito del cibo a domicilio. Alcuni si sono affrettati a registrarsi su portali leader nel settore dell’ordinazione 2.0, ma che chiedono una percentuale non indifferente dell’ordine complessivo, obbligando i locali a vincoli più o meno accettabili.

Ma gli altri? Quelle trattorie e ristoranti che vivevano sull’incasso del giorno, che puntavano ai week end per avere di che andare avanti, avranno le forze economiche per rialzarsi? Perché, alla fine, non siamo tutti sulla stessa barca e non tutti i ristoranti hanno le stesse possibilità di uscire dalla Fase 1 come ci sono entrati: in piedi.

A lanciare l’allarme è uno dei più noti ristoratori di Asti, chef Enrico Pivieri, titolare del Cavallo Scosso. Pivieri, che in questi giorni sta effettuando alcuni lavori di restyling del locale (previsti da tempo e casualmente iniziati durante l’emergenza sanitaria), è uno chef astigiano che sta affrontando la crisi con le sue sole forze.

“Ad oggi non ho visto né i 600 euro promessi agli imprenditori chiusi per il lockdown – racconta – né mi è stato ridotto il mutuo, ma non ho avuto neanche sgravi sulle bollette. Ho continuato a lavorare con il servizio delivery, ma si tratta chiaramente di poca cosa rispetto ai nostri coperti abituali. Purtroppo ho letto in giro che, secondo alcuni, la crisi farà da spartiacque e che garantirà ai più bravi di poter lavorare mentre, chi lavora male, soccomberà. No, non è così. Non sarà il più bravo a sopravvivere, ma colui che avrà il capitale più alto e quindi le forze economiche per entrare, di fatto, nella ristorazione 2.0”.

Chi ha un patrimonio importante supererà la crisi, gli altri sono a rischio

La spiegazione di chef Pivieri è la seguente: salvo rare eccezioni di chef stellati, legati a programmi televisivi o a brand importanti, i ristoratori, gli osti e i titolari di trattorie vivono sull’incasso del mese con cui pagano affitti, bollette, personale, etc. Non incassare per settimane, o per mesi, significa non poter sostenere i costi vivi di un’attività e, nel giro di poco tempo, dover prendere una decisione non semplice: indebitarsi o chiudere. Chi ha le spalle coperte, quindi un buon patrimonio in banca, potrà tirare avanti, ma alla fine anche per lui arriverà il momento di fare i conti con la realtà. “Il discorso cambia – continua Pivieri – per le grandi catene della ristorazione, quelle che ovviamente puntano sulla vendita di cibi a costi medio bassi, ma che non rappresentano la tradizione della cucina italiana. Loro possono ammortizzare i costi di un locale chiuso, gli altri non possono farlo ed è per questo che c’è bisogno di un importante sostegno del Governo a tutto il settore. E’ molto grave che non si stia dimostrando la dovuta attenzione alle piccole realtà con il rischio che molte di loro non riusciranno a ripartire”.

In Piemonte, salvo la Regione non decida diversamente, i ristoranti potranno riaprire, nel rispetto di tutte le nuove misure di sicurezza anti Covid, a partire dal 1^ giugno. Dal 4 maggio i ristoranti potranno, però, effettuare il servizio di cibo d’asporto, ma solo se potranno garantire l’accesso contingentato impedendo ogni assembramento vicino all’ingresso. Vietato anche fermarsi fuori dai locali per mangiare il cibo appena acquistato.

Il delivery, gli intermediari e il marketing

Il delivery, il servizio di consegna a casa del cibo, sarà il futuro, ma a che costo? Enrico Pivieri non ama appoggiarsi ai grandi siti internet che fanno da intermediari tra il ristorante e il cliente. “Il problema è che aderendo a questi servizi tu deleghi a terzi il marketing della tua azienda – spiega – Loro promuovono se stessi, non il tuo locale e, in tutta onestà, è molto più funzionale gestirsi da soli i clienti attraverso newsletter inviate direttamente a persone che già sono tuoi clienti, che già ti conoscono e sanno cosa puoi offrire loro”.

Va da sé che un piccolo ristoratore deve cedere una parte dell’incasso ai mediatori, ma in vista della Fase 2, se vuole restare aperto con il servizio in sala, dovrà prevedere una serie di accorgimenti necessari a proteggere da ogni possibile contagio. Ancora non c’è nulla di certo, ma si parla di installare barriere in plexiglass sui tavoli e tra un tavolo e l’altro. Poi termoscanner all’ingresso, igienizzanti, processi di sanificazione periodici e, secondo un’ipotesi non così remota, si potrebbe arrivare alla compilazione di registri utili a segnare nomi, cognomi, numeri di telefono dei clienti per chiamarli nel caso fosse accertato un rischio di contagio da Covid-19.

Le barriere su tavoli e termoscanner all’ingresso

“Non voglio mettere queste barriere e farò di tutto per mantenere le distanze di sicurezza tra i tavoli, che già ci sono e che forse mi obbligheranno a toglierne uno solo – continua lo chef – Non sono d’accordo con l’eventuale istituzione di un registro su cui scrivere le generalità dei client, ma poi c’è anche una questione di privacy non da poco. Immaginiamo che arrivi un gruppo di persone e che io debba verificare a tutti la febbre. Due hanno la temperatura sotto i 37.5 gradi, il terzo ha 37.9. Cosa faccio? Davanti agli altri gli impedisco di entrare dicendogli che è potenzialmente infetto? Che potrebbe avere il Covid-19? Ma si tratta di dati sensibili che non possono essere divulgati, soprattutto da un ristoratore. A che titolo posso impedire a una persona di entrare in un locale pubblico? E se questa persona dovesse non essere d’accordo e si rivolgesse al pronto soccorso per farsi rilevare la temperatura dimostrando di avere meno di 37.5 gradi di febbre? Potrebbe denunciarmi? C’è il rischio che con i termoscanner si ripetano scene già viste con gli autovelox per i quali gli automobilisti fermati chiedono di verificare le avvenute omologazioni, tarature, etc. minacciando ogni ricorso possibile”.

Per Pivieri è invece giusto chiedere che si facciano tamponi ai dipendenti, ma delegare ai ristoratori di diventare “sanitari” e un po’ “sceriffi” è davvero troppo.

Cosa significherà perdere metà dei coperti

La Fase 2 sarà molto complicata e costosa per chi dovrà mettersi in regola con i nuovi obblighi, “ma se questo significa perdere un terzo dei coperti, o metà, – conclude Pivieri – significa rendere insostenibile il costo dell’attività“. Essere on line, aprirsi alle consegne a domicilio, rivedere i tempi di lavorazione del cibo, sono scelte che dipendono dal singolo e che possono rispondere, nel breve periodo, alle necessità delle persone. Non tutti potranno farlo e per Pivieri “non si può lasciare che si arrangino perché si rischia di radere al suolo il lavoro costruito per decenni, o addirittura secoli”.

“Io preferirei di gran lunga ripartire anche più avanti, quando l’emergenza Covid sarà risolta, ma farlo in maniera ponderata. Aprire i ristoranti in queste condizioni potrebbe rivelarsi più costoso che fare solo delivery, un metodo di servizio sostenibile per attività che hanno un laboratorio in periferia, a costi ridotti, e una vetrina on line dalla quale prendere le ordinazioni. Sono scelte, ma la mia idea di ristorante non è questa e vorrei sapere quante osterie, trattorie e ristoranti a conduzione familiare riusciranno a gestire e sostenere i costi della consegna a domicilio. Se questo è il futuro e loro non riusciranno a convertirsi, diremo addio a buona parte del patrimonio enogastronomico del nostro Paese”.

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