Pochi giorni fa il Partito Democratico di Asti è intervenuto per chiedere all’assessore Marco Galvagno se, nel piano sul decoro cittadino, sia previsto o meno un intervento per limitare la presenza di colombi e piccioni, ma soprattutto del loro guano. Adesso è l’associazione SEquS – Sostenibilità Equità Solidarietà, circolo di Asti, a rispondere al Pd.
Ci chiediamo, con un certo sgomento: davvero per il Partito Democratico il problema di Asti sono gli escrementi dei piccioni?
La notizia ha già fatto il giro dei social, suscitando reazioni tra l’ironico e l’indignato. A giudicare dai commenti, pare che questa sia per alcuni l’occasione di una campagna facile, populista, che punta su un fastidio visibile e immediato. Eppure, qualcuno – pochi ma lucidi – ha ricordato che i colombi, come ogni altra specie, hanno un diritto a esistere. Non sono un’invasione, ma una presenza con cui l’umanità convive da millenni. I piccioni sono parte della storia delle nostre città. Sono animali sinantropi: vivono accanto all’uomo da epoche remote, si sono adattati ai suoi spazi, ai suoi ritmi, persino al suo disprezzo.
Nell’antichità erano alleati, messaggeri, simboli di pace e purezza. Oggi sono trattati come scarto urbano, sporcizia da rimuovere. Ma se ci fermiamo un attimo a guardare, capiamo che i piccioni non sono “fuori posto”: siamo noi, piuttosto, ad aver costruito città che hanno dimenticato il significato della coabitazione tra le specie. Il problema non è il guano. È l’antropocentrismo miope e arrogante. Mentre si invocano misure contro i piccioni, nessuno si scandalizza per l’invasione continua e ben più pericolosa delle automobili. Veicoli ingombranti, rumorosi, inquinanti, responsabili di migliaia di morti l’anno, direttamente (per incidenti) e indirettamente (per malattie respiratorie, cardiovascolari, tumorali). Ma le auto, a differenza dei piccioni, rappresentano lo “status”, la “comodità”, il “progresso”.
E così ad Asti si tollera un traffico urbano soffocante, si ignora la qualità dell’aria, si progetta una nuova tangenziale devastante – colline sventrate, aziende agricole cancellate – in nome di uno sviluppo che non sviluppa, ma consuma. Il paradosso è evidente: combattiamo i piccioni in nome del decoro, ma non vediamo il degrado ben più grave che noi stessi produciamo. Le polveri sottili per esempio (PM2.5, PM0.1), invisibili ma letali, entrano nei nostri polmoni e nel nostro sangue, colpiscono bambini, anziani, lavoratori.
Ma fanno meno notizia delle “cacche” sulle panchine. Il guano non uccide. Lo smog sì. Antropologicamente parlando, l’essere umano è un animale sociale e simbolico: costruisce il mondo in base a ciò che considera “ordine” o “caos”. I colombi oggi rappresentano il caos, l’animale che sporca l’illusione di una città pulita e perfetta. Ma questa è solo una narrazione. La realtà è ben più complessa. Le vere minacce alla qualità della vita non hanno le piume, ma si chiamano: cementificazione selvaggia, centri commerciali che spazzano via alberi e piccolo commercio , logistica e consumo di suolo, precarietà lavorativa, isolamento sociale. E una classe politica che continua a inseguire la crescita del PIL come unico orizzonte, accettando qualunque compromesso ambientale e umano, a patto che ci sia una “ricaduta economica”.
Cari amici del Pd, il decoro non si misura con l’assenza di guano sui marciapiedi. Si misura nella dignità del vivere quotidiano, nella possibilità di respirare aria pulita, di muoversi senza auto, di convivere con la natura, anche quella più umile e negletta. Il vostro compito non dovrebbe essere quello di inseguire i temi della destra con un’altra voce, ma di offrire una visione alternativa: ecologica, giusta, radicalmente umana. Perché finché anche la sinistra continuerà a usare la parola “progresso” per indicare lo stesso modello di sviluppo della destra – fatto di grandi opere, crescita quantitativa, attrazione di investimenti – la differenza si ridurrà al minimo. E chi ci guadagna? Sempre i soliti: Dell’1% che sfrutta le risorse del pianeta e i diritti dei lavoratori.
Coniare il termine “progressisti ed ecologisti” (palese emblema del greenwashing politico) è un errore intollerabile che una certa sinistra vorrebbe far passare come una possibile via percorribile. Progressista ed ecologista, un palese travestimento ideologico per continuare a sostenere lo stesso modello produttivo, predatorio e diseguale. È il paradosso dello sviluppo sostenibile, che pretende di coniugare crescita illimitata e rispetto dei limiti planetari: come curare un malato somministrandogli dosi sempre maggiori della sostanza che lo ha avvelenato. Quella definizione – “uno sviluppo che soddisfi i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere quelli delle generazioni future” – è in realtà un alibi antropocentrico che ignora la connessione profonda tra la specie umana e la biosfera. Finché lo sviluppo significherà sfruttamento, estrazione, consumo e disuguaglianza, non potrà mai essere sostenibile.
Noi di SEquS – Sostenibilità, Equità, Solidarietà, chiediamo un cambiamento profondo: non cosmetico, ma strutturale. Serve una nuova antropologia urbana, che non metta l’essere umano sopra ogni cosa, ma al centro di una rete di relazioni: con l’ambiente, con le altre specie, con i beni comuni, con la memoria dei luoghi. Solo così potremo davvero parlare di progresso.
Sostenibilità Equità Solidarietà, circolo di Asti