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Intervista

Social e rischi per i minori: parla l’avvocato Bassa specializzato in privacy

L’avvocato Francesca Bassa spiega come usarli senza condannarli: «Un figlio in camera, con il mondo a portata di mano, non è più al sicuro che in strada»

I social network sono diventanti parte della nostra vita quotidiana, ma non sono tutti uguali e non tutti nascono per lo stesso motivo. I minori sembrano preferire l’utilizzo di Instagram, basato soprattutto sulle immagini, e di TikTok che funziona attraverso brevi video. Quali rischi si corrono? Come educare i giovani all’uso consapevole dei social network. Lo abbiamo chiesto all’avvocato astigiano Francesca Bassa, esperto in cybersecurity e diritto digitale.

Dal punto di vista giuridico come si possono identificare questi social e quali sono i limiti legali del loro utilizzo?

«Per prima cosa una premessa: quanti genitori sanno a che età i propri figli possono iscriversi ai social? Secondo la normativa italiana possono iscriversi ai social network solo minori con età pari o superiore ai 14 anni a meno che il genitore non dia il consenso. Ma sono abbastanza sicura che la maggior parte dei genitori non conosca questa informazione. Secondo, i social network sono tenuti al rispetto della normativa europea e nazionale e i genitori, in quanto educatori, a conoscere la legge europea e quella italiana. La normativa privacy non è materia facile, ci sono le normative dei vari Paesi europei. Inoltre, chi conosce la geografia del web? Sapete se Facebook è in Irlanda o negli Usa? O se Tik Tok è solo in Cina o è presente in Europa? Queste informazioni sono la base per capire che il web non è un far west, esistono regole. Per mia esperienza personale, gli utenti medi navigano superficialmente. Ricordo che se il proprio figlio è chiuso in stanza e non in strada non significa che sia più “sicuro,” ma è chiuso in stanza con il mondo a portata di mano».

TikTok è stato al centro di polemiche per il caso della “sfida” (challenge) che avrebbe provocato la morte di una bambina di Palermo. L’azienda ha deciso di introdurre la conferma della data di nascita, dai 13 anni in su, per il suo utilizzo da parte dei minori. Un controllo che molti definiscono facilmente aggirabile.

«Scordiamoci che il problema sia solo di Tik Tok, l’indagine è stata aperta anche nei confronti di Instagram e di Facebook da parte del Garante della privacy. Dietro alle big tech ci sono team di eccellenza selezionati che affrontano tutti i giorni questi temi sui minori e si pongono le nostre stesse domande: il web è sicuro? E’ chiaro che tutti gli attori istituzionali hanno un ruolo, gli avvocati esperti dei social hanno il compito di divulgare le regole, i genitori di apprenderle, i social network di creare tecnicamente le modalità fattibili per rispettare le regole e il GDPR, come ad esempio modalità che consentano di accertare l’età dei minori e il consenso valido dei genitori. Vorrei lanciare una provocazione: i social non sono il “mostro”, non possiamo pretendere che i nostri figli escano dal digitale, quando il digitale è il presente e ormai – nel bene o nel male – il futuro prossimo. Una volta i figli sognavano di diventare calciatore di serie A ora qualche YouTuber. Ciò è giusto o sbagliato? Iniziamo a ipotizzare che potrebbe voler fare lo YouTuber. Una riflessione importante e che condivido con voi: anche il mondo del lavoro è cambiato. Una volta un professionista serio e di qualità era ricercato senza dover aver esibire alcuna targa, oggi se non è sul web pare non esista».

I social network sono gratis, ma in realtà hanno un prezzo inquantificabile: la nostra privacy. Cosa succede quando ci iscriviamo a un social come Facebook, TikTok, Instagram, etc.? Qual è il prezzo che realmente paghiamo?

«Fintanto che non sfrutteremo il web per le opportunità di cui si diceva sopra, penseremo di essere “sfruttati” dal web. Capovolgiamo il paradigma, questo periodo storico ci dà un’unica certezza: se non curiamo la nostra identità online, non esistiamo. A volte non c’è scelta. È evidente che se un servizio è gratis significa che stia sfruttando le nostre informazioni per creare business e pubblicità, purché lo si faccia nel rispetto della normativa privacy. Iniziamo ad imparare e a “sfruttare” le loro piattaforme per noi stessi affidandoci a professionisti competenti».

I minori, soprattutto nell’ultimo anno tra lockdown e distanziamenti sociali, si sono riversati ancora di più sulle comunicazioni digitali anche attraverso WhatsApp, Telegram, Snapchat, etc. Gli stessi strumenti che, in molti casi, si sono rivelati canali privilegiati per la diffusione di video di bullismo e cyberbullismo. Si dice che sia la scuola a dover promuove l’uso consapevole di queste tecnologie, ma come può avvenire se gli stessi insegnanti, spesso, non hanno idea di come funzionino?

«Su questo punto sono molto rigida. La scuola gioca un ruolo fondamentale, ma spesso si parla di web come “web uguale cyberbullismo”. È necessario che gli istituti promuovano iniziative educative e non solo “divulgative” anche per i genitori. Per mia esperienza, l’educazione del web viene insegnata da chi sul campo ha operato e opera. Nei prossimi giorni – ad esempio – saremo impegnati in un evento molto ricercato; insieme ad un mio ex collega terremo una lezione sul digitale e social network presso uno degli istituti più prestigiosi di Milano. Chi meglio di chi ha lavorato per le big tech può insegnarti cosa sono i social network? Oggi è necessaria una forte visione esterna bilanciata da una “cosiddetto visione interna”. Bisogna conoscere gli ambienti per poterli insegnare. La scuola può insegnare il digitale se ci sono corsi di formazione mirati e se questi sono costruiti da chi i social li fa, li ha fatti o ci è stato dentro. Ad ogni modo, “educazione digitale dei social network” è semplicemente in due parole “minimizzazione del rischio”: noi non prendiamo in esame il “post” o il “danno”, ti indirizziamo nelle regole di condotta».

Vita digitale e vita reale: sembrano due entità distinte, ma in realtà le nostre azioni nel mondo digitale sempre più spesso hanno valenza nel mondo reale. Quando si usano i social cosa dobbiamo tenere a mente? Quali responsabilità ci sono dal punto di vista legale?

«Oggi è difficile distinguere il vero dal reale. Ci interroghiamo tutti i giorni su questo: ma questa promiscuità confonde le opinioni? La mia risposta oggi è sì. Followers ovunque, se non hai followers sei “signor nessuno”. È questo il web che vogliamo? La risposta personale, dal mio punto di vista, non ne sono certa. Mi viene in mente Umberto Eco che dichiarava “i social sono in mano agli imbecilli.” Da un punto di vista di responsabilità chi è esperto di social network ha il compito di accompagnarlo in un percorso di “trasformazione”; da un punto di vista legale si deve tenere in conto che esistono delle regole e se queste non sono rispettate dagli stessi utenti possono comportare violazioni legali ben precise. Lo stesso vale per i contenitori dei nostri contenuti, i social network. Ricordo che i social network sono delle piazze, di per sé i social non creano contenuti, sono inquadrati come hosting provider, la responsabilità in primis è nostra, è dell’utente. Si leggano sempre i termini di servizio prima di cliccare».

Quali consigli darebbe ai genitori che devono affrontare una prima alfabetizzazione di se stessi e dei lori figli, minorenni, rispetto all’uso di questi strumenti?

«Non è facile dare consigli, nel web non si può essere sicuri al 100%. Oggi i genitori non hanno gli strumenti per aiutare i figli perché loro stessi sono spesso senza le giuste conoscenze in materia. Si usi il buon senso. Un figlio non è sicuro online da solo, ma sicuramente lo sarà di più se ci sarà un controllo del genitore. Facciamo raccontare ai figli la loro vita online, poniamoci domande. I minori sono bambini e i bambini non sanno guidare una macchina da soli. Partiamo da questo».

 

L’avvocato Francesca Bassa è Delegato locale Federprivacy. Privacy Officer certificato, si è laureata in Legge alla Bocconi di Milano e ha conseguito un Master in Sicurezza delle informazioni a La Sapienza di Roma. Attiva nel campo della data protection e cybersecurity da anni, ha lavorato in contesti internazionali e per multinazionali del web. Assiste aziende su adeguamenti normativi e GDPR. È docente di alta formazione in ambito privacy, collabora con Università ed Enti. È socia fondatrice dello Studio legale Bd LEGAL di Milano (bd-legal.it) e collabora con lo studio legale Florio di Asti.

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