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Storia di Eufemia, che ha lasciato Asti per gli Usa
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Storia di Eufemia, che ha lasciato Asti per gli Usa

Eufemia Baldassarre, 27 anni, dopo la laurea a Torino ha deciso di lasciare tutto per completare gli studi in America. La nostra intervista

Ha avuto l’onore di portare il vessillo della “School of Arts and Science” durante la cerimonia di laurea dell’Università di Pittsburgh, negli Stati Uniti, dove sta ultimando il Master in Lingua e letteratura Italiana cominciato nell’agosto 2014. Parliamo di Eufemia Baldassarre, 27 anni, astigiana che, dopo la laurea in Scienze della Mediazione linguistica all’Università di Torino (dove ha frequentato anche un Master in Traduzione), ha deciso di lasciare tutto per completare gli studi in America.

Una storia tutta locale che ricalca quella di tanti giovani italiani qualificati che, in questo periodo, abbandonano il nostro Paese perché la poca meritocrazia, unita alla crisi economica, spesso nega loro una posizione professionale consona al livello di studi raggiunti. A pochi giorni dalla cerimonia di laurea, molto sentita e partecipata negli Stati Uniti, le abbiamo chiesto di raccontarci la sua esperienza.

Dove vivi attualmente e cosa fai?

«Attualmente vivo a Pittsburgh, in Pennsylvania, città nella quale mi trovo dall’agosto del 2014, quando ho cominciato il Master in Lingua e letteratura italiana all‘Università di Pittsburgh. In questi due anni ho frequentato corsi di letteratura e insegnato lingua italiana ai ragazzi iscritti all’equivalente della nostra laurea triennale. Al momento sto completando gli ultimi esami che mi separano dal conseguimento ufficiale del titolo che avverrà ad agosto. Negli Stati Uniti, infatti, le università organizzano un’unica cerimonia per tutti coloro che si laureano durante l’anno accademico in corso.

E’ la tua prima esperienza all’estero?

«No. La prima risale all’estate del 2011, quando ho lavorato presso Walt Disney World, in Florida, nell’ambito di un programma chiamato International College Program. Sono tornata a lavorare a Disney qualche anno dopo (dall’aprile 2013 all’aprile 2014), facendo da Cultural representative in uno dei parchi Disney che contiene un padiglione italiano. Durante quell’esperienza ho maturato la decisione di voler proseguire gli studi negli Stati Uniti».

Quali difficoltà hai incontrato nel vivere all’estero?

«Tra le difficoltà che ho incontrato nel vivere all’estero c’è quella di sapersi adeguare ad una mentalità e ad uno modo di vivere differenti da quelli italiani. Quello che vivendo a casa rientra a far parte della nostra normalità e che talvolta corriamo il rischio di dare per scontato – mi riferisco al fatto di avere il sostegno emotivo e materiale della nostra famiglia, di uscire spesso con gli amici, di avere dei luoghi e delle persone “nostri” – in un Paese straniero viene a mancare. Facendoci alle volte sentire un senso di solitudine che una società individualista come quella americana non sempre aiuta a colmare. Una caratteristica che penso sia dovuta al fatto che i giovani, abituati a partire dagli anni dell’università a vivere fuori casa.

E spesso a lavorare per poter pagare gli studi (che qui hanno costi spropositati rispetto all’Italia), sviluppano un senso di indipendenza che, per quanto ammirevole, li porta a socializzare in un modo diverso da noi Italiani. Con questo non intendo dire che i giovani americani non sappiano divertirsi o che non abbiano amici, al contrario. Ma che spesso sono talmente concentrati sulla meta da non accorgersi di perdersi il” bello del viaggio”».

Quali vantaggi presenta il tuo Paese “adottivo” e quali svantaggi?

«Tra i vantaggi del mio Paese “adottivo” vi è sicuramente quello di offrire maggiori opportunità e dare maggiore credibilità ai giovani che sono pronti ad entrare nel mondo del lavoro o ad intraprendere una carriera accademica. Il sistema scolastico, così come quello lavorativo, sono fondati sulla meritocrazia e c’è molta trasparenza in questo ambito. A questo riguardo la mia esperienza può fungere da esempio. Io non conoscevo nessuno quando ho fatto domanda per il programma di Master a Pittsburgh. Il processo di selezione per questi programmi si basa quasi interamente sulle capacità che il candidato possiede e che è in grado di dimostrare in fase di domanda, che è decisiva.

Ciascun candidato deve preparare un dossier che include una serie di esami con rispettivi voti, lettere motivazionali e di “presentazione” da parte dei docenti e precedenti esperienze di studio/lavoro. Di solito i posti per i programmi di master/dottorato sono contati (2/3 per programma, dal momento che le facoltà umanistiche sono numericamente meno consistenti) e prevedono tutti (o quasi) una borsa di studio che copre interamente i costi delle tasse universitarie (che rispetto a quelle italiane sono spropositati – parlo di cifre a 4/5 zeri all’anno), assicurazione medica e stipendio per l’insegnamento.

La competizione è alta, come d’altronde il livello, e fare domanda in più scuole è un investimento (emotivo ed economico) che non garantisce l’ammissione. La determinazione è a mio avviso uno dei fattori decisivi. Tra gli svantaggi, comuni a chi vive all’estero, c’è quello di non poter contare su una rete di supporto come quella che trovo a casa. Anche se, grazie a ciò, sono diventata più forte e autonoma dal punto di vista caratteriale».

Ti manca qualcosa dell’Italia o di Asti?

«Mi mancano tantissimo le persone a me più care, con cui tuttavia comunico con una frequenza che mi fa sentire meno la distanza geografica. Mi mancano il cibo che mi cucina mia nonna, le passeggiate per le vie del centro di Asti e gli aperitivi con le amiche».

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

«A settembre comincerò un programma di dottorato in Studi italiani all’Università di Chicago. Dal momento che il programma ha una durata di 5 anni è troppo presto per me pensare a cosa farò dopo. Tuttavia, non escludo l’idea di utilizzare il mio titolo di studio per cercare lavoro non soltanto negli Stati Uniti, ma anche in Europa».

Elisa Ferrando

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