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Tra agnolotti al plin e involtini primavera: come cambia il gusto nei locali di Asti

Sempre più locali cinesi e giapponesi, ma anche grandi catene dello street food

Involtini primavera o agnolotti al plin? Sushi, sashimi oppure brasato al Barolo? Menu alla carta o “all you can eat”? Fino a pochi decenni fa sarebbe stato difficile immaginare che anche Asti sarebbe diventata una città così multietnica e internazionale in fatto di cibo. Già l’apertura dei primi ristoranti cinesi, negli anni ’80, era parsa una rivoluzione copernicana della tavola, così distante dagli standard di allora e dalle numerose trattorie (per i più nostalgici piole) dove si potevano gustare i cibi della tradizione piemontese/astigiana, a prezzi popolari, magari senza una grande scelta sul menu, ma con la quasi certezza di assaporare quelle che oggi vengono definite le “eccellenze del territorio”.

Oggi Asti è profondamente cambiata, le piole sono quasi del tutto sparite, i grandi brand delle catene nazionali e internazionali hanno iniziato a colonizzare il centro storico e i centri commerciali, è scoppiata la voglia di “street food”, il delivery (il servizio che porta a domicilio il cibo) si è ormai consolidato e c’è chi, rimpiangendo i vecchi tempi andati, lamenta una certa difficoltà nel dover indicare in quale ristorante poter mangiare un buon piatto di agnolotti della tradizione, di tajarin al sugo d’arrosto, il vitello tonnato, la trippa o un eccellente fritto misto alla piemontese come tradizione vuole. Senza andare troppo indietro nel tempo, appena un paio di decenni fa, se avessero chiesto a un astigiano dove poter gustare in città la cucina tipica, le risposte sarebbero state immediate: la Greppia, la Grotta, il Gener Neuv il cui titolare Piero Fassi aveva garantito ad Asti, per oltre 30 anni, una Stella Michelin (oggi tornata grazie a Le Cattedrali con Cannavacciuolo), il Moro, ma anche locali molto popolari come La trattoria del mercato. Oggi, nonostante ci siano ancora dei nomi importanti che continuano a tenere alta la tradizione facendola scoprire ai turisti, i più giovani, pur amanti del buon cibo, hanno a che fare con una realtà dove il pranzo è spesso “al volo”, tra un impegno e l’altro, concentrato in pochi minuti e dove il potenziale economico si è molto ridotto. Quindi mangiare fuori, specie cibo di elevata qualità, costa troppo per il loro portafogli.

Non stupisce, perciò, che anche per il 2025 ad Asti si annunciano aperture di nuovi ristoranti orientali, cinesi e giapponesi, e ulteriori catene andranno a prendere il posto di storici negozi, a cominciare dall’ex Upim. Il mercato del cibo orientale non sembra essere saturo sebbene in città si contino una quindicina di ristoranti cinesi e giapponesi, alcuni con le formule «all you can eat». Ma negli ultimi anni è stato un proliferare anche di hamburgherie, piadinerie, paninerie (format già in auge negli anni ’80), pizzerie al taglio (l’ultima è Rom’Antica in corso Alfieri specializzata in pizza alla romana) senza tralasciare i numerosi kebabbari, alcuni diventati anche apprezzati pizzaioli, aperti tutti i giorni con vasta scelta di «street food».

Questa evoluzione dell’offerta gastronomica dei locali astigiani è la conferma che la globalizzazione del cibo è uno tsunami che non risparmia quasi nessun territorio, dalle metropoli alle medie città di provincia. Ed è quindi anche la dimostrazione di come fossero del tutto anacronistiche le prese di posizione dei “difensori della tradizione” che levarono gli scudi quando, sul finire degli anni ’90, il primo McDonalds aprì sotto i portici Pogliani. Fu allora che si ebbe il primo segnale di una rivoluzione in termini di offerta culinaria che, tra alti e bassi, è ancora in corso.

[foto Billi]

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