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Risaia nel vercellese
Attualità

Un intenso mare a quadretti tra Monferrato, Lomellina e vercellese

La risaia tradizionale, erroneamente, è stata sempre ritenuta fonte di spreco della risorsa idrica. Ancora oggi a fatica si riesce a far comprendere che è vero il contrario

Mare a quadretti tra Monferrato, Lomellina e vercellese

<<Il riso nasce, cresce, e frutta mediante una discreta irrigazione>>. Così in maniera perentoria e assoluta decreta l’agronomo e presidente dell’Orto Botanico della Crocetta di Torino Nuvolone Pergamo ad inizio Ottocento.

La risaia tradizionale, erroneamente, è stata sempre ritenuta fonte di spreco della risorsa idrica. Ancora oggi a fatica si riesce a far comprendere che è vero il contrario.

Utilizzo limitato di acqua

La risaia tradizionale infatti muove grandi quantitativi di acqua a fronte di un utilizzo molto limitato. Questi quantitativi rappresentano un rapporto tra l’acqua e il territorio, dove vengono messi in falda e poi ceduti successivamente ai fiumi.  La risaia, quindi, è inserita all’interno di un fenomeno naturale che utilizza l’acqua come elemento di prosperosità. Proprio la combinazione di canali, falde, acqua e disponibilità idrica rende la piana piemontese e lombarda, vercellese e lomellina, maggiormente adatte alla risicoltura rispetto ad altre zone d’Italia.

Aree di emergenza idrica

Se il sistema non è ben gestito o viene trascurato se ne pagano le conseguenze, determinando, ad esempio, aree in emergenza idrica pur in presenza della disponibilità di acqua nei fiumi. Erroneamente si pensava invece che la carenza idrica di altre regioni della fascia fluviale del Po derivasse dal fatto che in Piemonte si “prendeva” troppa acqua. In realtà succede esattamente il contrario: il meccanismo di stoccaggio dell’acqua in falda attraverso le sommersioni dei campi, generato all’inizio della primavera, è a garanzia dei livelli idrici del Po, poichè questo sistema è come una spugna che, una volta intrisa, cede acqua alla trincea drenante più importante in assoluto che c’è nella Pianura Padana, vale a dire il Po. Questo spiega anche perchè, quando ci sono momenti di carenza idrica nell’area di Chivasso, ad Alessandria spesso ci sono invece portate maggiori di quello che ci si aspetta. Tutta l’area dedita alla risicoltura cede poco a poco l’acqua, a garanzia dei livelli del Po e dell’agricoltura lungo la sua fascia fluviale.

E’ chiaro che se si mette in pista un sistema diverso, la falda si abbassa e fa saltare questo meccanismo, portando situazioni di stress idrico del Po che cominciano dal Veneto, per ripercuotersi sulla Lombardia e sull’Emilia Romagna e arrivare fino in Piemonte.

La risicoltura, oltre alla funzione produttiva, ha quindi un ruolo costante e continuo di regimazione del Po.

Coltivazione del riso a secco

Tuttavia sempre più spesso sentiamo parlare e vediamo sperimentare la coltivazione del riso a secco.
Ma non è una novità! Fu Antonio Finassi, ricercatore del CNR, a ricordare proprio Nuvolone Pergamo e le sue relazioni sul “riso in asciutta” e la “coltivazione a secco del riso” come in Estremo Oriente, dovuta a periodi acuti di siccità, un incubo per le campagne italiane ed europee molto simile a quello che stiamo attraversando. Studi più approfonditi però sembrano attribuire questi studi non a problemi di siccità ma “sul risparmio d’acqua per contrastare le paludi/risaie accusate di essere mefitiche”. E’ sotto gli occhi di tutti comunque che negli ultimi anni la coltivazione del riso con “semina in asciutta” sta prendendo sempre più piede, sia per questioni di siccità sia per costi più bassi di gestione. In alcune aree questa tecnica ha raggiunto il 100% della produzione. Non tutti sono però convinti che questa sia la strada giusta, sia per la resa della coltivazione, sia per problemi legati alla gestione delle falde sotterranee.Nei prossimi anni capiremo meglio l’evoluzione della produzione del riso italiano. Percorsi e itinerari: info@sistemamonferrato.it.
Andrea Cerrato

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