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Un “secco” per vincere la crisi dell’Asti?
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Un “secco” per vincere la crisi dell’Asti?

Come uscire dalla crisi dell’Asti? Con l’Asti Dry. Provocazione? Boutade? Voglia di stupire? Tutt’altro. La nuova frontiera dell’aromatico (ancora) più venduto nel mondo parrebbe essere proprio la versione “secco”

Come uscire dalla crisi dell’Asti? Con l’Asti Dry. Provocazione? Boutade? Voglia di stupire? Tutt’altro. La nuova frontiera dell’aromatico (ancora) più venduto nel mondo parrebbe essere proprio la versione “secco” da abbinare a quella dolce tradizionale.

Se ne parla da tempo, più o meno apertamente, tra i produttori di bollicine made in Canelli e dintorni. Un tabù sino a pochi anni fa, quando l’Asti tirava un carro sul quale viaggiavano verso i cinque continenti oltre 80 milioni di bottiglie. Poi, poco alla volta, dal “tamagnon” ne sono scese il 30%, un tonfo (da 30 milioni di pezzi) che neppure l’impennata del “tappo raso” è riuscita a attutire. Incantesimo che si è rotto sabato scorso in casa di uno dei più importanti produttori dello spumante dolce. Santero, a Santo Stefano Belbo, teneva l’annuale incontro con i propri conferitori di uve. Nel cortile dello stabilimento erano in 600 e più all’appuntamento che tradizionalmente segna l’inizio della stagione in vigna. E che cosa salta fuori dalla cantina dell’eclettica famiglia, che ha dato i natali al “fenomeno” 958? Proprio l’Asti Dry.

Non a caso la Santero ha voluto tastare il polso dello spumante, in versione del tutto privata, con chi il Moscato lo conosce più di ogni altro. E il responso è stato positivo. Gradito, da parte dei moscatisti, la fragranza e il retrogusto di Moscato, il perlage e il gusto amarognolo che persiste dopo averne bevuto un calice. L’esperimento, come c’era da aspettarsi, ha subito suscitato frizzanti prese di posizione. Da una parte i puristi del Asti-solo-dolce e, più in generale, del Moscato in versione tradizionale tout court. I qua li hanno inondato la rete con commenti, opinioni e, spesso, fantasiose ricostruzioni di situazioni e fasti oramai consegnate alla storia.

Dall’altra i pro-Asti-Dry, in quantità minore per la verità non foss’altro perché poco si sa e ancor meno ne sanno le papille. Ma l’idea piace, liaison della nuova frontiera al fenomeno Prosecco. Ricordando, anche, che, Champagne in testa, si può scegliere di uno stesso prodotto sia la bottiglia di brut sia quella con vino dolce. Ne è convinto Pietro Cirio, produttore con cantine a Canelli e Loazzolo e esponente di Agrinsieme. «Noi sosteniamo l’iter per questo nuovo prodotto che darebbe un po’ di ossigeno alle nostre vigne».

In questo grande tourbillon, in attesa di una vendemmia che si preannuncia con molti chiaroscuri, tiene banco anche la questione dell’identità: la versione dry potrà fregiarsi dell’appellativo Asti? Anche qui i purist dicono che non è possibile. Altri, meno trotzkisti, aprono spiragli. Anche in questo caso Champagne e Prosecco docet.

Giovanni Vassallo

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