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Vino: dopo il decreto sulle etichette occorre uniformare gli standard europei

Il Ministero dell’Agricoltura proroga al 30 giugno 2024 il cambio etichetta

Sono salve le etichette per il vino Made in Italy messe a rischio dalle nuove norme Ue. Ad affermarlo è la Coldiretti in riferimento all’annuncio da parte del Ministro dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare Francesco Lollobrigida della firma del decreto che posticipa al 30 giugno 2024 l’introduzione e l’applicazione della normativa europea sul cambio di etichettatura del vino, permettendo così l’utilizzo e l’esaurimento delle etichette già in magazzino.

Bene la proroga a livello nazionale – spiega Coldiretti – ma adesso sarà fondamentale uniformare gli standard a livello europeo, adottando la regola che per l’inserimento delle informazioni relative a ingredienti e valori nutrizionali si utilizzi un codice QR accompagnato dalla sola lettera “I”.

“Il problema era nato perché a poche settimane dall’entrata in vigore dal nuovo regolamento la Commissione aveva deciso di inserire il termine completo “ingredienti”, invece di “I”, condannando di fatto al macero tutte le etichette già stampate dai produttori che si erano organizzati per tempo” ricorda il Presidente Coldiretti Asti Monica Monticone.

Un danno per le aziende subito denunciato dalla Coldiretti a tutela di un settore già colpito dall’impennata dei costi di produzione, che mette a rischio la competitività del vino italiano sul mercato nazionale ed estero.

“Non si tratta della prima grana causata al Vigneto Italia dalle politiche adottate dall’Unione Europea” precisa la Coldiretti, ricordando la scelta della Commissione di dare il via libera all’introduzione di etichette allarmistiche sul vino decisa dall’Irlanda, così come, la decisione della Ue di autorizzare l’eliminazione totale o parziale dell’alcol anche nei vini a denominazione di origine, fino alla pratica dello zuccheraggio e al vino senza uva, con l’autorizzazione alla produzione e commercializzazioni di vini ottenuti dalla fermentazione di frutti come lamponi e ribes molto diffusi nei Paesi dell’Est.

“A pesare” prosegue il Direttore Diego Furia, “sono anche i rischi legati alle richieste di riconoscimento di denominazioni che evocano le eccellenze Made in Italy. Da contrastare, quindi, il mercato dell’italian sounding”.

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