Imputato mai presentato in aula
Altri due difensori impegnati nelle arringhe per convincere il collegio di giudici presieduto dal dottor Giannone (a latere i colleghi Dovesi e Bonisoli) che i loro assistiti non sono e non sono mai stati ‘ndranghetisti.
Verso le battute finali il processo Barbarossa che venerdì scorso ha visto la rilettura delle accuse rivolte a Fabio Macario e Alberto Ughetto in chiave difensiva.
Per Fabio Macario si è speso l’avvocato Scicchitano che ha chiesto l’assoluzione perché il suo è stato un reato “di necessità”, ovvero non poteva rifiutarsi pena la vita.
Macario è accusato di aver fatto il corriere della droga per Michele Stambè portando una “pallina” di cocaina pura, di circa 30 grammi, dalla Calabria ad Asti. A lui il gruppo di Barbarossa è arrivato per via del suo rapporto di lavoro con Vincenzo Emma, uno dei vertici del gruppo.
Ma la versione che dà il difensore dell’imputato è di tutt’altra fatta. Partendo dal fatto che Macario, al processo Barbarossa ad Asti, non si è mai visto. «E questo perché lui ha ancora una paura tremenda di incontrare chi gli aveva dato quell’incarico» ha spiegato il difensore.
Ripercorrendo quella vicenda. Macario, nel dicembre del 2015, era stato mandato in Calabria dove, alla stazione degli autobus, era stato prelevato da Michele Stambè che lo aveva portato a casa sua, in un luogo isolato. Lì gli aveva consegnato un pacchetto ordinandogli di portarlo ad Asti. Era la famosa pallina di cocaina. «Macario pensava di andare a ritirare qualcosa per il cantiere, non droga – spiega il suo difensore – altrimenti neppure ci sarebbe andato in Calabria. Ma una volta che si è trovato là, al suo primo rifiuto, Stambè gli ha ordinato “Ci vai altrimenti ad Asti ci arrivi come vogliamo noi” sottintendendo una minaccia grave.
Lui era solo, in un luogo sperduto che non conosceva, lontano da casa. Cosa poteva fare se non accettare? Ma da subito con l’intenzione di disfarsi della cocaina, cosa che ha dichiarato di aver fatto al primo autogrill».
Ma ad Asti è tornato e quando è stato contattato da colei che doveva ritirare la droga, ha temporeggiato e ha detto che la pallina non ce l’aveva più. Qui, secondo la ricostruzione del difensore, entra in scena Luca Scrima, che, avendolo suggerito come corriere si sente responsabile del suo fallimento e anticipa il corrispettivo del valore della pallina di cocaina, salvo poi pretenderne la restituzione a Macario.
Che viene sequestrato in un alloggio di via Arò, scappa dal bagno e chiede aiuto alla Polizia raccontando tutto.
«E’ vero che lui ha ritirato la cocaina in Calabria, ma non era andato là sapendo di dover fare questo e, una volta là, ha dovuto accettare l’incarico perché si trovava in una situazione di necessità in cui rischiava di essere ucciso o pesantemente malmenato se si fosse rifiutato. Per questo non può essere punito» la conclusione del difensore.
Daniela Peira