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Accoltellò l'amico, bracciante condannata
Cronaca

Accoltellò l'amico, bracciante condannata

Niente legittima difesa: la donna aggredì il connazionale bulgaro per ucciderlo e per questo, in primo grado, il tribunale di Asti l’ha condannata a 4 anni e 8 mesi di reclusione. Si è chiuso

Niente legittima difesa: la donna aggredì il connazionale bulgaro per ucciderlo e per questo, in primo grado, il tribunale di Asti l’ha condannata a 4 anni e 8 mesi di reclusione. Si è chiuso così il processo a carico di Elka Pavlova, la bracciante proveniente dalla Bulgaria accusata di tentato omicidio nei confronti di un amico avvenuto in una cascina di San Marzano Oliveto nell’aprile del 2011. L’uomo, raggiunto al collo e all’addome da alcuni fendenti inferti con un coltello da cucina preso dalla tavola sulla quale stava cenando con la Pavlova e altri amici, rischiò grosso e quando i soccorritori arrivarono sul posto lo trovarono in un lago di sangue.

Fin dall’arrivo dei carabinieri al casolare, la sera del tentato omicidio, la Pavlova ha sostenuto di essersi difesa dal connazionale che aveva tentato di usarle violenza approfittando del fatto che il fidanzato era andato a dormire ubriaco. Una circostanza che però i connazionali presenti all’aggressione non hanno mai confermato con convinzione e dettagli. La donna ha raccontato di aver inferto le coltellate dopo che il bulgaro l’aveva afferrata e a più riprese buttata a terra per abusare di lei. L’uomo ha invece sempre affermato di essere stato improvvisamente vittima della sua furia cieca alimentata anche da una buona dose di alcol consumato da tutto il gruppo di braccianti presenti a cena.

Il pm Tarditi, convinto che la donna abbia reagito semplicemente ad una battuta pesante o equivoca, ha sostenuto l’aggressione violenta nei confronti del bulgaro, spropositata rispetto a quello che poteva essere stato detto nei suoi confronti e ha chiesto una condanna a 7 anni. L’avvocato Claudia Malabaila, difensore della Pavlova ha invece insistito sull’inattendibilità dei testimoni, tranne uno che si ricorda della donna a terra e del fatto che il ferito aveva “fatto casino con lei” vedendo in queste affermazioni la conferma del tentativo di violenza raccontato dall’imputata.

Questa circostanza, aggiunta alla maglietta strappata notata dai carabinieri intervenuti, per la difesa è la prova che la donna ha detto la verità quando ha parlato di un tentativo di legittima difesa e non di un’aggressione. Chiedendo ai giudici Muscato, Amerio e Ceccardi l’assoluzione o, in subordine, la derubricazione della condanna in lezioni gravissime.

d.p.

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