Gli anni Settanta aprono ad Asti un decennio di delitti legati alla sfera degli interessi sessuali. La gran parte dei fatti di sangue occorsi in quegli anni, infatti, dal triste epilogo di Maria
Gli anni Settanta aprono ad Asti un decennio di delitti legati alla sfera degli interessi sessuali. La gran parte dei fatti di sangue occorsi in quegli anni, infatti, dal triste epilogo di Maria Teresa Novara (la tredicenne scomparsa nei primi mesi del 1969 e ritrovata cadavere dopo 8 mesi in un cubicolo di un cascinale di Canale d'Alba) agli omicidi del Boschetto, del treno e dell'assassinio della «ragazzina troppo libera» ad opera dello spasimante già vedovo e più vecchio di trent'anni, sono connessi sempre a situazioni di comportamento abnorme, di scintilla maniacale e stato di raptus originato da sproporzionate attrazioni o inibizioni a sfondo erotico-sessuale.
Studente dell'Artom uccide bambina in montagna
Mercoledì 19 luglio 1978, uno studente astigiano di 18 anni, Maurizio Trovò, residente in corso Matteotti e figlio di un pendolare di origine veneta, uccide con 14 coltellate una bambina di 10 anni, Carla Adini di Firenze. Il giovane, che doveva riparare tre materie a settembre (frequentava il IV° anno dei periti metalmeccanici all'Artom), si trovava a Bardonecchia dove lavorava durante il periodo estivo come cameriere in un albergo della frazione Jafferau. Dopo aver terminato il proprio turno di lavoro, si era allontanato poco distante dall'albergo, appartandosi da solo in una vecchia costruzione abbandonata. La bambina, che si trovava in villeggiatura a Bardonecchia con la sorella e i genitori nel medesimo albergo dove lavorava l'astigiano, l'aveva seguito nella catapecchia sorprendendolo in un atteggiamento di autoerotismo. Dopo avere cercato di strangolare la bambina con un laccio delle scarpe, forse colto da un improvviso raptus omicida, Maurizio Trovò sferra ben 14 coltellate al petto e alla schiena della piccola e innocente vittima. Nel novembre 1980, la Corte d'Assise di Torino lo condanna a 18 anni e un mese di reclusione riconoscendolo colpevole di omicidio volontario.
Delitto al Bosco dei Partigiani
Il 17 febbraio 1971, intorno alle 13, nel Bosco dei Partigiani, ai piedi delle mura medievali, un giovane di 17 anni, Giuseppe Sacco di Cisterna, venne accoltellato da un disadattato sociale, tale Elio Balbo di 23 anni, mentre si trovava in compagnia della fidanzata: Clara Gai di 16 anni. I due giovani (lui frequentava il terzo anno dell'Istituto tecnico professionale, lei la seconda classe del Liceo Scientifico) si erano appartati nella parte alta del boschetto per scambiarsi qualche bacio, quando l'omicida vibrò una coltellata tra la quinta e la sesta vertebra dorsale del Sacco. La seconda coltellata, all'altezza della gola, recideva la vena iugolare del povero ragazzo (morirà poco dopo all'ospedale civile). La ragazza, illesa, solleva a fatica il compagno e lo trascina coraggiosamente al centro del parco, dove si trovano la casa del custode e una scuola per subnormali. I primi a portare soccorso sono il vigile urbano Primo Vercelli, la maestra Anna Dabbene e la moglie del custode, Esterina Martelli.
L'assassino fermato in Corso Dante
L'omicida fuggì facendo perdere le tracce. La giovane in preda a choc è in grado di rivelare pochi particolari utili alle indagini per identificare l'assassino. I carabinieri interrogano Massimo Manconi, il tredicenne alunno delle medie che, aiutato dal fratello Paolo di 17 anni, ha eseguito l'identikit dell'assassino. Massimo va quasi ogni giorno nel Bosco dei Partigiani, tra le 14 e le 15, a giocare con altri ragazzi. Dice: «Il Balbo era una figura a noi molto nota per il suo comportamento strano: andava e veniva, tradendo sempre una grande agitazione e quando vedeva una coppia di innamorati si appostava per spiarli. Ogni tanto lo si vedeva ridere, da solo, senza motivo». La città vive momenti di tensione e paura. Alcuni giorni dopo la cattura, un individuo che si comporta stranamente è notato in località Viatosto mentre gioca con un coltello.
Il particolare viene riferito al brigadiere dei vigili urbani, Mario Calvi (in seguito vice comandante del Corpo) che avverte i carabinieri. Verso mezzogiorno del 22 febbraio il maresciallo Curio e il brigadiere Magliani, in corso Dante angolo piazza Alfieri, si imbattono nell'uomo che corrispondeva ai connotati forniti su di lui. Camminava lentamente sul marciapiede leggendo il giornale. Lo hanno avvicinato e gli hanno chiesto i documenti. Era Elio Balbo, nativo di Villadeati (Alessandria), immigrato ad Asti da dieci anni e residente fino a un anno prima con i genitori in frazione Valmanera. In tasca aveva il coltello a serramanico. Dopo cinque ore d'interrogatorio confessa l'omicidio dello studente. Il 5 luglio ?72 la Corte d'assise di Asti riconoscerà il Balbo colpevole di omicidio volontario con l'attenuante della seminfermità mentale e condannato a 14 anni e 4 mesi di carcere e tre anni da scontarsi in casa di cura.
Agosto ?90: colto da raptus prende a coltellate il suo psichiatra
Dopo aver scontato 5 anni in un ospedale psichiatrico, Elio Balbo era tornato in libertà. Aveva a fatica trovato un lavoro come manovale. Per la sua malattia era seguito dal servizio psichiatrico dell'Usl di Asti. Ed è proprio nell'ambulatorio di via Orfanotrofio che il 24 agosto 1990 ha luogo uno strano ferimento di un medico psichiatra: Giuseppe Bonavolontà, 30 anni, accoltellato da un paziente che in preda a raptus gli ha inferto due colpi di coltello a serramanico ferendolo gravemente al torace. Erano le 15 quando dal piano rialzato dell'edificio, all'angolo con piazzetta dell'Archivio (oggi intitolata a Gianni Goria, ex presidente del Consiglio), si sono udite delle grida.
Era un'infermiera che invocava aiuto. Sono accorsi impiegati dell'unità sanitaria che hanno scorto sul pianerottolo il medico, steso a terra: Bonavolontà con una mano cercava di tamponare il sangue che gli usciva dalle ferite, nell'altra teneva il coltello che era riuscito a sottrarre al feritore, che si trovava a poca distanza con le mani sul volto che ripeteva: «Cosa ho fatto, cosa ho fatto». Mentre un'autolettiga trasportava il medico al pronto soccorso dell'ospedale, agenti della questura bloccavano l'aggressore. Poco dopo il sostituto procuratore della Repubblica, Ercole Armato, ordinava l'arresto di Elio Balbo, 42 anni, di Asti, già noto alle cronache, che è stato successivamente trasferito in carcere con l'imputazione di tentato omicidio. Nel 2011 un alto dirigente della Polizia di Stato in servizio alla Questura di Asti mi raccontò che il Balbo era ancora vivo (oggi ha 67 anni) ed era stato rinchiuso in un istituto psichiatrico speciale, pare dalle parti dell'Emilia Romagna.
Stefano Masino