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Cronaca
Il racconto

Asti, a processo un pezzo di “medioevo familiare”

n aula una donna di origini marocchine racconta vent’anni di matrimonio in cui lei e le figlie hanno subito tutto quello contro il quale le donne hanno combattuto da generazioni

Un racconto faticoso e drammatico, fatto dietro ad un paravento per non vedere più in faccia il marito e padre dei suoi cinque figli che sedeva nel banco degli imputati. Accanto la traduttrice e di fronte tre giudici (Giannone, Sparacino e Dunn) cui raccontare quei 20 anni di matrimonio che hanno racchiuso tutto quello contro il quale hanno combattuto generazioni di donne occidentali.
Un processo per maltrattamenti che si è tenuto nei giorni scorsi al tribunale di Asti e che vede imputato un uomo marocchino e nelle vesti di parte lesa quella che è stata sua moglie e la madre dei suoi figli.
Lui difeso dall’avvocato Cardello, lei parte civile con l’avvocato Arri e la pubblica accusa tenuta dal pm Masia.
La donna ha raccontato di essersi sposata a 16 anni in Marocco. Per un po’ la coppia ha vissuto lì, poi lui, come molti connazionali, si è trasferito in Italia per lavoro e dopo qualche anno lo ha raggiunto anche la moglie, attraverso il ricongiungimento familiare.
«Fino a quando sono arrivati i bambini mi trattava abbastanza bene – ha raccontato – ma dopo è stato un inferno».
Una storia in cui ci sono tutti i profili di divario culturale che la donna e le sue figlie femmine intendevano colmare ma il marito-padre assolutamente no.
I primi problemi erano quelli economici. Inizialmente aveva un posto fisso poi è stato licenziato e la famiglia è caduta in uno stato di forte povertà. «I miei figli volevano vivere come gli altri, li vedevano a scuola e in giro, ma lui non voleva mai spendere soldi per loro, preferiva urlare così tutti avevano paura di lui e smettevano di chiedere» racconta la donna.
Due figlie femmine della coppia, poi, proprio non ne volevano sapere di vivere “alla marocchina” con regole ormai superate da noi.
«Con loro era molto molto severo. Una è scappata di casa ed è finita in comunità, l’altra, che voleva studiare e vestirsi all’occidentale, è stata mandata da lui per un mese in Marocco per ricordarle come doveva vestirsi e comportarsi e quali erano i suoi doveri di ragazza. Appena tornata è scappata di casa anche lei».
Un affronto inconcepibile per l’uomo che aveva anche preso appuntamento all’Anagrafe per cancellare le due figlie femmine dal suo stato di famiglia, talmente lo avevano deluso.
Tanti i torti raccontati dalla moglie.
«Con noi non divideva mai nulla, io passavo le giornate a fare il giro delle associazioni e degli enti di carità per trovare cibo, vestiti e ogni altra cosa potesse servire a me e ai miei figli – ha detto – Mi insultava di continuo perchè diceva che non portavo soldi a casa, che non ero abbastanza per lui, parlava sempre male della mia famiglia, mi diceva che non valevo nulla e quando tornavamo in ferie in Marocco, io e le mie figlie più grandi facevamo da serve alla sua famiglia».
Continue le minacce: «Se io voglio ti “tolgo” i documenti e tu torni in Marocco».
Anche quelle più sottili e intime: «Per problemi di salute i medici mi avevano consigliato di non avere più figli, dopo il quarto ma lui mi disse che non ero una buona moglie e che se non gli avessi dato un altro figlio mi avrebbe lasciata per mettersi con una più giovane e disposta ad averne».
Poi gli atti di violenza più gravi. «Una sera mi rifiutai di andare a letto con lui e lui mi obbligò, pretese un rapporto e subito dopo andò a prendere un coltello in cucina e diede numerose coltellate al materasso. Io mi rifugiai sul balcone, pensando a come calarmi da lì perchè temevo che sarebbe arrivato ad accoltellare anche me».
Un’altra volta le rovesciò un pentolino di verdure bollenti sulla caviglia, un’altra ancora scagliò contro il muro il suo cellulare e la donna per molto tempo non potè parlare con la sua famiglia in patria.
La donna, saputo che ad Asti era possibile frequentare la scuola per stranieri adulti al Cpia, si era iscritta, fortemente motivata a imparare l’italiano e a conseguire il diploma di terza media.
«Lui subito accettò, poi me lo proibì perchè diceva che la scuola “mi stava cambiando”. Così io proseguii lo stesso di nascosto. avrei voluto anche frequentare una scuola di cucina, ma non riuscivo a farlo di nascosto così rinunciai».
Il sogno di aprire una tavola calda in Italia è svanito ma non il coraggio della donna che, pur di salvare i suoi figli dalla mentalità del padre, ha sporto denuncia.
«Io glielo ripetevo sempre “Qui siamo in Europa, non puoi trattarci così”.

 

(Foto da repertorio web)

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