Assoluzione perchè il fatto di cui è accusato “non sussiste”: questa la sentenza che ieri mattina ha sollevato un macigno dal cuore di un giovane uomo, Alex Giorgio Marcu, 23 anni, da quattro sotto indagine e sotto processo perchè sospettato di aver spinto il padre durante una lite che è caduto ed ha perso l’uso della parola per mesi mentre ancora oggi è gravemente menomato, ospitato in una casa di riposo.
Marcu, difeso dall’avvocato Claudia Malabaila, quell’accusa l’ha sempre respinta con sdegno, soprattutto a fronte di una situazione famigliare in cui proprio lui, all’epoca 19enne, aveva scelto di rimanere a vivere. Aveva scelto di restare con il padre nella loro casa di Scurzolengo nonostante il vizio di bere, la perdita del lavoro, la violenza in casa, i debiti, l’estrema povertà che non consentiva loro neppure di avere l’acqua e la luce perchè le utenze erano state soppresse a causa delle bollette non pagate.
La madre e il fratello più piccolo di Marcu non avevano resistito e se ne erano andati a vivere in un altro paese. Lui non ce l’aveva fatta a lasciare da solo quel padre che ormai viveva solo per la bottiglia. Marcu aveva insistito perchè intraprendesse un percorso di guarigione dalla dipendenza da alcol, perchè riprendesse a lavorare, perchè si occupasse della casa, ridotta ad una “discarica” di cui il ragazzo si vergognava a morte. Lui in quella casa ci era rimasto perchè voleva comunque bene al padre e non voleva lasciarlo completamente alla deriva. Ci era rimasto perchè più volte il padre, durante i suoi deliri da alcolista, aveva minacciato di suicidarsi e il figlio voleva esserci per impedirglielo nel caso fosse passato dalle parole ai fatti.
Alex svolgeva qualunque tipo di lavoro, da quelli agricoli a quelli a servizio di locali pubblici, pur di guadagnare qualcosa per le spese di prima necessità. Ma non bastavano per tornare ad una vita almeno dignitosa.
Tutto questo lo ha detto in aula ai giudici Chinaglia, Bertelli Motta e Dematteis quando gli hanno chiesto come mai avesse raccontato una bugia ai carabinieri, quella mattina in cui trovò il padre riverso a terra, in cucina, privo di sensi ed evidentemente grave. Chiamò subito il 118 e, agitato, provò a spiegare le condizioni del padre. Ai carabinieri che gli avevano chiesto se vivesse lì con l’uomo gravemente ferito, Alex rispose di no.
«Non avevo niente da nascondere. Solo mi vergognavo a morte di dire che vivevo in quella casa che presentava condizioni di degrado indescrivibili. A tutti dicevo che abitavo altrove, anche agli amici del paese. Non volevo che pensassero che vivevo in quella topaia».
Quella bugia è stata un campanello di allarme che ha spostato su di lui i sospetti.
Tutti raccolti nella requisitoria del pm Cotti il quale ha chiesto una condanna a 2 anni e 6 mesi.
Un processo fortemente indiziario, quello a carico di Alex, le cui incongruenze sono state sottolineate dalla pubblica accusa: quell’aver negato di vivere in quella casa, l’aver detto all’operatrice del 118 che la testa del padre era in un lago di sangue mentre invece c’erano state solo contenute fuoriuscite da bocca e naso, l’aver sostenuto che il padre probabilmente era caduto da solo a seguito di una delle sue solite ubriacature a fronte delle analisi al Pronto Soccorso che non avevano rintracciato alcol nel sangue del ferito, l’aver registrato una dichiarazione del padre il giorno prima dell’udienza preliminare in cui l’uomo, biascicando, di fatto scagionava il figlio.
Per il pm le cose sono andate così: il padre era arrabbiato con il figlio perchè aveva scoperto che aveva fatto alcuni prelievi sul conto cointestato e le parole sono degenerate in lite violenta in cui il ragazzo lo ha spintonato facendogli sbattere la testa.
Tesi sostenuta dalla parte civile, rappresentata dall’avvocato Sattanino che ha concluso per la richiesta della condanna del figlio dell’uomo e di una provvisionale immediatamente esecutiva di 50 mila euro.
Tutt’altra lettura quella data dalla difesa che è partita da un dato incontestabile: le conclusioni del medico legale Romanazzi sulla natura dell’emorragia cerebrale che ha duramente scemato le capacità motorie e di comunicazione di Catalin Marcu.
«Non vi è conoscenza della causa dell’emorragia. Può essere stata provocata da un problema neurologico, da una caduta accidentale autonoma o da caduta provocata da terzi. Un’ipotesi liquidata in tre righe senza alcun altro sostegno a questa tesi».
Questo per la difesa il nodo centrale della questione mentre tutte le altre incongruenze sono da addebitare alla giovane età dell’imputato, alla sua grande agitazione nei momenti immediatamente seguenti il ritrovamento del padre privo di sensi, al forte senso di vergogna spiegato ai giudici da lui stesso.
Anche i prelievi in banca che sarebbero alla base del movente economico, sono stati di lieve entità e fatti per pagare l’affitto, una spesa al Penny, saldare qualche debito con i negozi del paese e una consumazione da 20 euro al Burger King. Spese che, semmai, dimostrano il maggior senso di responsabilità del giovane figlio rispetto al padre.
E spiega anche quella registrazione fatta alla casa di riposo in cui il padre dice che Alex Giorgio non ha provocato la sua caduta. «Lo hanno spiegato l’imputato e la madre il perchè di quella registrazione – ha detto l’avvocato Malabaila – Tutti gli investigatori, la Procura, i consulenti, i testimoni continuavano a sostenere che Catalin fosse in uno stato vegetativo che non gli permetteva di parlare nè di ragionare o ricordare. Loro hanno voluto, forse un po’ ingenuamente, dimostrare che avevano torto, che l’uomo si era ripreso, riusciva a formulare frasi e a recuperare ricordi nella sua mente».
In poco più di mezz’ora i giudici hanno deciso per l’assoluzione del ragazzo.