Caduto nel vuoto l’appello di Silvia, la donna che, a 56 anni, vorrebbe conoscere la sua madre naturale.
Da tre anni, ormai, la donna ha reso nota la sua storia, anche attraverso il nostro giornale.
E il nostro giornale già aveva parlato di lei, in quel novembre del 1967 quando venne ritrovata, neonata, in uno scatolone di cartone, avvolta in una copertina di lana, nel confessionale dell’allora cappelletta del Don Bosco ad Asti.
Una neonata bellissima, in salute, lasciata di giorno nel confessionale il cui abbandono venne subito annunciato al parroco di allora attraverso una telefonata, per fare in modo che venisse subito ritrovata.
Fin da subito è emersa la tenerezza e la preoccupazione che l’hanno accompagnata pur nella drammatica decisione dell’abbandono. La piccola era pulita, nutrita, ben vestita, aveva anche una catenina d’oro. Qualcuno, all’epoca, parlò di un’auto sportiva guidata da un bell’uomo fermarsi per qualche istante davanti alla chiesetta e poi andarsene.
Silvia venne adottata da una coppia di Acqui Terme che l’amarono immensamente. «Non mi dissero che ero stata adottata – raccontò – lo scoprii da sola a vent’anni facendo i documenti per il mio matrimonio. Subito mi arrabbiai, poi compresi che il loro silenzio era stato dettato dalla paura di ferirmi. E io ho aspettato che loro non ci fossero più per mettermi alla ricerca della mia madre naturale, perchè non volevo che loro pensassero che lo facevo perchè non mi ero sentita abbastanza amata».
I motivi che hanno spinto Silvia in questa ricerca non deriva da una carenza di amore, ma da un senso di “incompletezza” della sua vita. «Oggi che sono madre a mia volta, sento forte la necessità di mettere anche quel tassello a posto. Non ho recriminazioni, non voglio affatto giudicare mia madre naturale che sicuramente ha avuto i suoi buoni motivi per abbandonarmi. Vorrei solo conoscerla, potrebbe ancora essere viva, o almeno conoscere la sua storia».
Il suo appello non è però caduto totalmente nel vuoto. Proprio grazie all’articolo pubblicato su La Nuova Provincia, si era fatta avanti la signora Vincenzina, che all’epoca dell’abbandono di Silvia era titolare di una merceria di via Conte Verde e con il marito era una volontaria della parrocchia. Fu lei la prima persona che il parroco chiamò quando si ritrovò quel fagottino fra le mani.
«Mi faceva così tenerezza quella piccola che aveva quasi l’età dei miei figli – ha raccontato Vincenzina durante il suo incontro con Silvia oltre 50 anni dopo – Io procurai i vestitini che le servivano e quando venne presa in carico dalla Maternità di Asti, con mio marito andavamo sempre a trovarla. Fummo padrino e madrina del suo battesimo e avviammo la pratica per adottarla. Ma non arrivammo in tempo e la piccola fu assegnata ai genitori con i quali crebbe».
Vincenzina non smise mai di pensare a quella neonata e non le sembrò vero, cinquant’anni dopo, ritrovarsela davanti e poterla di nuovo abbracciare.
«Questa mia ricerca, anche se per ora non mi ha consentito di risalire alla mia madre biologica – dice Silvia – mi ha permesso di conoscere Vincenzina e la sua famiglia, con la quale abbiamo stretto una bellissima ed affettuosa amicizia».
In realtà Silvia un’idea sulle sue origini se l’è fatta, a furia di cercare, ragionare sui pochi elementi a disposizione, frugare nella memoria sua e della sua famiglia adottiva. Ma non ci sono conferme e rimangono supposizioni.
Ma l’appello è sempre valido. Ancora oggi, chi sa, si faccia avanti. Anche in forma anonima.