L’imputato ha provato a convincere i giudici che quanto raccontato dalla nuora potesse essere stato frutto di un fraintendimento dell’affetto nei suoi confronti, ma il collegio non gli ha creduto e lo ha condannato ad un anno e 6 mesi oltre al risarcimento dei danni morali alla donna con una provvisionale di 15 mila euro in attesa di una quantificazione più precisa demandata alla causa civile.
Una storia approdata in tribunale che arriva dalle colline di un paese astigiano dove vivono sia la famiglia dell’imputato che quella della parte lesa, in case vicine. A legare le due persone un rapporto di famiglia: la donna è moglie del figlio dell’imputato e la coppia ha anche figli. La vittima abitualmente andava ad aiutare la famiglia del compagno quando c’era bisogno di braccia in più per terminare il lavoro ed era per questo motivo che si trovava a casa degli suoceri quando è successo il fatto che ha originato il processo.
Si trovavano soli in cortile suocero e nuora quando improvvisamente, secondo il racconto più volte ribadito dalla donna, lui l’ha presa per mano e accompagnata in un magazzino vicino alla casa. Lei non ha opposto alcuna resistenza perché non aveva mai avuto alcuna percezione di intenzioni pericolose né da parte del padre di suo marito, né da parte di chicchessia altro di quella famiglia. Tanto che in un passaggio ha chiaramente sottolineato che, dopo il matrimonio, l’avevano accolta “come una figlia”.
Quel giorno però le cose non sono andate come fra padre e figlia. La donna ha raccontato di aver seguito l’uomo pensando di doverlo aiutare a portare fuori qualcosa di pesante, invece lui, al riparo da occhi indiscreti, l’ha abbracciata forte, l’ha stretta a sé e le ha infilato le mani sotto la maglia toccandole prima la schiena, poi scendendo sui glutei e infine mimando un atto sessuale, mentre si trovava in uno stato di evidente eccitazione.
Divincolatasi dalla stretta, la donna spaventata è corsa a cercare il marito che però ha tenuto un comportamento di forte ostacolo nei confronti della moglie spaventata. All’annuncio di lei di volersi recare subito a sporgere denuncia dai carabinieri, ha cercato di dissuaderla poi le ha preso le chiavi dell’auto per non farla allontanare e quando si è accorto che lei stava telefonando alla stazione carabinieri del paese, le ha staccato la chiamata. I militari sono riusciti a rintracciare da dove provenisse la chiamata e si sono presentati alla casa da cui era partita toccando con mano il tentativo del marito della donna di minimizzare e non far emergere il nome del padre come quello dell’aggressore sessuale. Anche nei giorni seguenti provò a convincere la donna a non presentare la querela.
Cosa che invece lei fece e la Procura ravvisò responsabilità penali sia a carico dell’anziano che del figlio per il comportamento tenuto nei confronti della moglie.
La donna, che nel frattempo aveva scelto l’avvocato Pierpaolo Berardi per farsi assistere nel processo, visse per qualche tempo in una casa famiglia, poi tornò a vivere nella casa coniugale ma non più con il marito.
Dal canto suo lo suocero, difeso dall’avvocato Avidano, ha negato una parte del racconto fatto dalla donna e per il resto ha ricondotto l’abbraccio e il massaggio alla schiena al tentativo di scaldarla perché nel magazzino in cui si trovavano faceva freddo.
Versione non creduta dai giudici che lo hanno condannato pur concedendogli la sospensione condizionale della pena a patto che partecipi agli specifici percorsi di recupero in tema di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per il reato di violenza sessuale.