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Ika Nuhu e Fatima Issah
Cronaca
Verso il 25 novembre

Asti, Fatima racconta la sua storia di schiava per amore della figlia

Il potere della testimonianza nel gesto di una donna vittima di tratta che trova il coraggio di parlarne ai compagnia di sua figlia. E poi a tanti altri giovani

Terza puntata delle “Storie di SOS donna”, ciclo di interviste su chi si impegna nell’Astigiano, con azioni particolari, contro la violenza di genere.

Questa volta la giornalista Laura Nosenzo racconta il percorso di vita di Fatima e Ika, la prima mamma della seconda, sotto al titolo “Il coraggio ha la pelle nera”.

Fatima Issah nel 2007 parte dal Ghana (dove Ika Nuhu, che ha cinque anni, viene affidata con il fratello Chibsa a una zia) per venire in Italia a lavorare: ma cade nelle mani dei trafficanti di esseri umani. Costretta sul marciapiede di viale Don Bianco a prostituirsi, trova subito il coraggio di scappare chiedendo aiuto al Piam, di cui da anni è mediatrice culturale. Nel 2011 i suoi figli la raggiungono in Italia e cominciano una nuova vita. Tempo dopo, quando Fatima è ormai pronta a dimenticare, Ika le chiede: “Mamma, vieni a raccontare la tua storia di vittima di tratta nella mia classe?”. Lei non sa dirle no.

«Un giorno – si legge nel racconto pubblicato su sos-donna.it – Fatima oltrepassa la soglia dell’Istituto Castigliano e si trova addosso gli sguardi di una trentina di diciassettenni sconosciuti. Si posa su di lei anche quello rassicurante di Ika: ce la fai. Prende forza, il suo italiano un po’ impreciso ha toni carezzevoli e quasi subito, una dopo l’altra, le parole si mettono a spiegare, riaprendo una storia di inganno, dolore e coraggio. Ricordare è abitare una vita che non ha mai scelto. Eppure Fatima lo fa davanti a un’intera classe di ragazzi perché Ika glielo chiede. Comincia a raccontare per amore di sua figlia. E’ il 2019 e da quel momento non si fermerà più, centinaia di giovani conosceranno la sua storia e si commuoveranno con lei».

Perché Ika chiede a sua madre di testimoniare? «Mi sembra importante farlo –  risponde la giovane, che ricorda – All’epoca frequento la quarta superiore al Castigliano, indirizzo socio-sanitario, ho diciassette anni. Stiamo facendo un progetto sull’emigrazione e costituiamo in classe dei piccoli gruppi, ognuno dei quali dovrà proporre un tema con un taglio nuovo, originale, da trattare tutti insieme. Penso alla mamma che, attraverso la sua esperienza personale, potrebbe farci comprendere meglio il problema della tratta degli esseri umani».

E perché Fatima accetta, pur sapendo di riaprire una vecchia ferita? «I giovani devono sapere cosa succede nel mondo – la sua riflessione – cosa c’è dietro alla tratta, chi sono gli immigrati che vivono nelle nostre città, quali sono le cause che li costringono a partire e che cos’è lo sfruttamento. Il mio esempio personale può aiutarli a capire».

Finito l’incontro a scuola, Fatima è pronta a «riporre la mia storia di vittima di tratta nuovamente dentro di me». Poco dopo, tuttavia, si sente nuovamente invitare al Castigliano a parlare, «poi mi chiamano al Monti, entro nel Progetto SOS donna e mi siedo davanti a tanti altri ragazzi».

«Il messaggio ai giovani di tua mamma – chiede a Ika l’intervistatrice – è chiaro. Qual è il tuo?». Lei risponde sicura: «E’ importante testimoniare, proteggere e difendere la propria identità. Anche quando ti succede qualcosa di brutto non bisogna mai vergognarsi».

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