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Cronaca
La difesa

Asti, gli imputati si difendono: «Non siamo usurai, contro di noi solo falsità»

Al processo per usura parlano gli imputati che respingono le accuse di prestiti e di interessi da capogiro

Dopo il lungo racconto fatto dalla figlia e dalla madre della famiglia che ha denunciato di essere vittima di usura, all’ultima udienza quattro degli imputati hanno avuto l’occasione in aula di tribunale, davanti ai tre giudici che dovranno dettare la sentenza, di dare la loro versione e di difendersi dalle accuse.
Fra i primi a sottoporsi all’esame incrociato delle parti è stato Riccardo Lo Porto che ha ricordato come conosca da tantissimi anni la famiglia che ora lo accusa e di come fosse un amico fraterno del figlio, del quale è coetaneo. «Eravamo molto amici: io dormivo a casa loro, lui a casa mia, facevamo le vacanze insieme e condividevamo la passione per il gioco e le scommesse. Sulla rubrica del mio telefono era sotto il nome di “frate” tanto per dare un’idea di quanto fossimo legati.
La sua famiglia non mi ha mai chiesto soldi nè io gliene ho dati. E’ vero che fra me e lui c’era un continuo flusso di piccole cifre di denaro ma erano prestiti reciprochi per giocare le scommesse che poi regolarizzavamo ogni volta. La nostra era una fratellanza, non un rapporto di prestito vero e proprio. Tutte le accuse a mio carico sono riferite ad un prestito di 1500 euro che io gli feci chiedendo i soldi a mia madre, ma era per coprirgli una giocata, non per altro». Il giovane ha poi concluso la sua deposizione con una considerazione amara: «Noi siamo sempre stati amici, non ho mai minacciato nessuno e credo che tutta questa vicenda sia frutto di terze persone che hanno montato la testa alla famiglia. Ma quello che fa più male è che ogni volta che c’è qualcosa contro la nostra famiglia siamo descritti come delinquenti invece siamo una famiglia di lavoratori. Siamo descritti come estorsori e usurai ma è solo un pregiudizio che ci portiamo avanti per un errore di mio padre di ormai 25 anni fa».
Il padre, Emanuele Lo Porto, che ha dimostrato di aver studiato meticolosamente in carcere le carte di questo processo, ha invece ammesso di aver prestato alla famiglia che ora li accusa, (alla figlia per l’esattezza) prima 20 mila euro e poi altri 35 mila in successive due tranches su rihiesta della ragazza, che gli aveva detto di averne bisogno per coprire dei casini suoi e di suo fratello. «Ma sono sempre stati versamenti tracciati perchè fatti con bonifico e non ho mai chiesto un centesimo di interessi e lei, nel giro di pochi mesi mi restituì tutto tramite bonifico. E’ vero che mi ha dato 8-10 mila euro in contanti, ma è stato un regalato per il favore che gli avevo fatto. E non ho mai alzato le mani su di lei, mail, nè l’ho minacciata».
Anche Renato Olivieri ha spiegato che le richieste di denaro alla ragazza fatte prima di persona e poi per telefono da sua moglie, erano per il saldo del pagamento di un’auto che le aveva venduto.
«Me la presentò mio genero, io non la conoscevo. Le venditti un’auto per 7800 euro. Mi diede un acconto di 1500 euro e poi mi disse che me l’avrebbe pagata poco per volta. Io mi fidai perchè era amica del marito di mia figlia, ma quei soldi non arrivarono mai e li devo vedere ancora oggi e quando glieli chiedemmo era perchè ci servivano perchè io ero in carcere per un altro fatto».
Un altro che aspetta ancora oggi 30 mila euro dalla ragazza, secondo la sua dichiarazione è un altro imputato, Luigi Cataldo.
«Conoscevo quella ragazza da bambina, me li chiese e glieli prestai, senza interessi. Dovevamo aprire una pizzeria insieme e pensavo di recuperarli così. Ma la pizzeria non la aprimmo e io sto ancora aspettando la restituzione dei miei soldi».

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