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Cronaca
Sentenza

Asti, il processo sulla cannabis light finisce con 4 condanne e 2 assoluzioni

Le centinaia di chili sequestrati avevano un principio attivo superiore alle soglie tabellari

E’ giunto al termine, ieri, il primo grado di un processo faticoso nato su un’indagine della Guardia di Finanza che si era conclusa due anni fa a carico della famiglia De Luca titolare di un’azienda di produzione autorizzata di cannabis light a Valgera e di un negozio di rivendita dei prodotti a base di canapa light in corso Matteotti.

Un processo, condotto per la pubblica accusa dal pm Deodato, che ha richiesto un grande lavoro di tipo “tecnico” e che si è giocato, alla fine, su una perizia ordinata dal tribunale presieduto dal giudice Dovesi con i colleghi Dematteis e Bertelli.

Ed è proprio su questo ultimo atto  che si è tenuta la discussione conclusiva.

Salvatore, Manuel e Jessica De Luca insieme ad Ayoub Azzi e Fabio Catizzone erano accusati,  secondo vari gradi di responsabilità, di due capi di imputazione principali. Il primo era quello di aver venduto svariati chilogrammi di una sostanza a base di “canapa arricchita” con principio attivo superiore a quello consentito per essere considerata “light” e dunque autorizzata alla vendita.

L’altra accusa, rivolta ai De Luca, era  di avere fittiziamente intestato una serie di auto e furgoni a Catizzone che di fatto erano invece nella disponibilità e di proprietà della famiglia; un escamotage per evitare eventuali sequestri o confische di beni.

Da questa prima accusa sono stati tutti assolti, compreso Catizzone che era a processo per questo solo capo di imputazione.

Per lo spaccio è stato assolto anche Giuseppe De Luca, il padre di Manuel, difeso dagli avvocati Furlanetto e Bona; per lui non è stato provato il coinvolgimento in quell’attività di spaccio contestata invece al figlio, alla nipote e al marocchino prevalentemente utilizzato come corriere per le cessioni.

La pena più pesante ha colpito Manuel (3 anni e 6 mesi) mentre la cugina Jessica è stata condannata a 2 anni e 6 mesi (entrambi difesi dall’avvocato Marco Calosso); 2 anni e 2 mesi per Azzi (difeso dall’avvocato Mirate). Fra tutti e tre sono stati condannati anche al pagamento di una multa che ammonta complessivamente a 26 mila euro.

Le motivazioni dei giudici saranno pubblicate fra 90 giorni ma dalla sentenza dettata si può ragionevolmente dedurre che sia passata la linea rigorista invocata dal pm Deodato improntata all’attuale legge in vigore che fissa a 0,50 la soglia massima di THC presente nel campione consentita per non incorrere nella definizione di sostanza stupefacente il cui spaccio è vietato dalla legge.

La difesa dei De Luca aveva incaricato un consulente, il dottor D’Avolio, che aveva introdotto nel suo ragionamento un superamento di questa mera soglia andando ad analizzare l’effetto drogante dell’intera partita  sequestrata alla famiglia. E aveva concluso che insieme a quella soglia di THC era presente una quantità  di CBD (sostanza non psicoattiva) che, di fatto “neutralizzava” l’effetto drogante escludendo dunque la partita da una definizione di sostanza stupefacente.

Un’interpretazione in parte affacciata anche nella relazione del perito incaricato dal tribunale, il dottor Fabrizio Seganti del Centro Antidoping “Bertinaria” di Orbassano il quale, in alcuni passi, ha espresso dubbi sulle attuali metodologie e soglie tabellari che fanno da spartiacque fra sostanza stupefacente e marijuana light, chiedendosi se non fosse più opportuno applicare un concetto concreto di potere psicoattivo. Ma, e su questo è stato molto chiaro, fintanto non verranno fatti studi più approfonditi e non verranno modificate le tabelle, quella soglia dello 0,50 è il riferimento di legge cui ci si deve attenere.

 

 

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