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Cronaca

Asti, in otto a processo per i prestiti con interessi folli alla famiglia con il vizio del gioco

Davanti al Gip gli imputati dell’operazione Game Over di maggio. Vittime costituite sono padre, madre e due figli che hanno sperperato una fortuna al gioco

Operazione Game Over

Emergono dettagli inediti all’udienza preliminare che venerdì mattina si è tenuta davanti al Gip Belli in un’aula affollata di imputati e difensori per discutere del rinvio a giudizio di un nutrito gruppo di astigiani accusati di essere degli efferati usurai.
Undici persone in tutto sono coinvolte nell’operazione Game Over che a maggio aveva portato all’arresto congiunto di Polizia e Guardia di Finanza di sei persone e alla denuncia a piede libero di altre cinque. Gli arresti avevano riguardato la famiglia Lo Porto (il padre Emanuele, la madre Antonietta Cestari, il figlio Riccardo) e poi Emanuele Olivieri, Rosa Vinotti e Kreshnik Nikolli: tutti rinviati a giudizio all’udienza fissata per il 15 dicembre.
Con loro compariranno davanti al giudice anche Alfons Beraj e Luigi Cataldo mentre i fratelli Elis ed Emanuel Vija hanno avanzato una richiesta di patteggiamento che sarà perfezionata in un’udienza dedicata a metà ottobre. Già prosciolto per non aver commesso il fatto, invece, Diego Lovisolo.

Gruppi indipendenti

Molto chiaro l’impianto accusatorio della Procura: si tratta di diversi gruppi indipendenti ed autonomi che hanno prestato alla stessa famiglia denaro ad interessi altissimi ma che non sono collegati fra loro. Come spesso capita nel mondo dell’usura, infatti, le vittime, per onorare le pressanti e crescenti richieste di restituzione e di interessi, finiscono per chiedere denaro ad altri usurai per pagare i primi finendo così in un girone dantesco dal quale poi non riescono più a uscire perché non fanno che ingigantire i loro debiti con tutti.

Padre, madre e figli, tutti ludopatici

In questo caso le vittime sono quattro e appartengono tutte ad una stessa famiglia: padre, madre e due figli. E tutti con lo stesso devastante vizio: quello del gioco d’azzardo. Un intero nucleo famigliare affetto da una grave ludopatia che ha sperperato un grande patrimonio ed è dovuto ricorrere ai prestiti degli usurai.

Dilapidate al gioco  tre eredità milionarie

E’ una famiglia di origine albanese in cui la madre, badante, ha ricevuto nel giro di qualche anno ben tre eredità sostanziose da altrettanti anziani presso cui aveva prestato servizio. Si parla di milioni di euro e di due ville nel sud astigiano.
Una condizione che, sulla carta, avrebbe potuto permettere una vita agiata a genitori e figli che invece è stata distrutta da giocate (e perdite) continue ai tavoli d’azzardo.
E anche quando i (tanti) soldi sono finiti, la famiglia non è stata in grado di fermarsi, perché la malattia del gioco è più forte del conto in rosso in banca. Così si sono rivolti ad un primo usuraio che ha imposto interessi fino al 600% mensili. Cifre impossibili da onorare e, da lì, la caduta nella spirale delle richieste a tutti gli altri usurai per coprire, di volta in volta, il “buco” di quello più insistente, minaccioso, violento.
La famiglia, assistita dall’avvocato Lamatina, si è costituita parte civile e parteciperà al processo che si terrà a dicembre.

I capisaldi delle accuse

L’impianto accusatorio si basa su svariati elementi. Prima di tutto le dichiarazioni dei componenti della famiglia che hanno circostanziato piuttosto bene tutto il loro rapporto con i vari imputati; accanto a queste anche le dichiarazioni di persone parenti ed amiche cui venivano chiesti continuamente soldi per placare la sede delle puntate ai tavoli dei casinò.
Importante anche l’apporto della Guardia di Finanza che ha ricostruito un ingente flusso contabile e finanziario: dai numerosi bonifici e assegni versati ai vari imputati ad altre forme di passaggio di denaro. Nell’indagine è stato scoperto anche che una delle ville di proprietà della famiglia era stata occupata da uno degli usurai a titolo gratuito e, si intuisce dagli atti, in via definitiva in attesa di un imminente passaggio formale di proprietà.
Fra le prove anche i numerosi messaggi telefonici in cui venivano sollecitati i pagamenti e addirittura un vero e proprio “estratto conto” di dare e avere trovato in possesso di uno degli imputati durante le perquisizioni di maggio.
Per il nutrito gruppo di difensori (avvocati Berardi, Mirate, Caranzano, Bertolino, Schierano) questi elementi non sono sufficienti a provare la responsabilità dei loro assistiti e puntano a dimostrarne la loro estraneità durante il dibattimento pubblico.

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