Una miseria, la paga che veniva corrisposta, ma per loro era comunque importante e più importante ancora era ottenere un contratto regolare di lavoro per poter ottenere il permesso di soggiorno e pensare di poter rimanere in Italia regolarmente.
Parte da questa forte motivazione di un gruppo di quattro richiedenti asilo bengalesi ospitti nel Centro di accoglienza di Castello d’Annone l’indagine in corso della Procura della Repubblica di Asti sul caporalato nella nostra provincia.
Per una volta le vigne e la vendemmia non c’entrano nulla. Qui il caporalato si è consumato in un grande allevamento di polli in un comune a nord della provincia gestito da un cittadino egiziano.
Era lui stesso che ogni giorno si recava a Castello d’Annone per reclutare i quattro lavoratori. In un primo tempo erano in cinque, poi uno di loro si è ritirato dopo poco tempo. Gli altri hanno resistito e hanno imparato bene quello che dovevano fare.
Particolarmente impegnativa la mansione cui erano destinati.
Infatti i quattro richiedenti asilo erano stati assegnati alla soppressione e alla macellazione dei polli dell’allevamento che venivano poi fatti a pezzi e confezionati in vaschette.
Quelle da inviare ai clienti venivano caricate su camion che potevano contenere fino a 1500 pezzi. Per questo lavoro l’egiziano li pagava 20 euro a camion. E non a testa, che già sarebbe stata una miseria, ma da dividersi in quattro. Risultato: 5 euro per stipare un camion di polli macellati.
Ma la parte più disgustosa, per loro stessa ammissione, era l’altra mansione, quella di smaltimento delle carcasse dei polli lavorati e di quelli che, viste le condizioni dell’allevamento, morivano prima della macellazione.
Altri camion da caricare, per i bengalesi e, anche in questo caso, la paga era di 5 euro a camion se ne finivano due con l’aggiunta di 10 euro in più se riuscivano a fare anche il terzo. 10 euro che erano sempre da dividere in quattro.
Un’operazione, quella del caricamento delle carcasse, che i bengalesi facevano a mano, senza essere dotati neppure delle minime dotazioni di dispositivi di protezione individuale. Niente guanti, niente mascherine, niente stivali, niente grembiuli o camici impermeabili: lavoravano a mani nude così come arrivano da Castello d’Annone e vi tornavano dopo un turno di lavoro. Notturno.
A raccogliere nero su bianco i racconti di questo lavoro “disperato” sono stati gli uffici della Cgil di Asti cui i migranti si sono rivolti perchè, senza neppure riconoscere lo sfruttamento del lavoro cui erano stati sottoposti, lamentavano il fatto di non esssere stati pagati e di non aver ottenuto il contratto di lavoro fondamentale per il loro permesso di soggiorno.
Fra coloro che li ha accolti anche Letizia Capparelli, segretaria Flai Cgil che con il segretario Luca Quagliotti ha firmato la denuncia alla Procura.
Ad avvalorare il racconto dei bengalesi, anche quello di un egiziano che, recentemente, si è presentato alla Cgil lamentando lo stesso trattamento nello stesso allevamento. Offrendo però anche foto e video girati di nascosto durante i turni di lavoro per dimostrare l’estrema precarietà non solo lavorativa ma anche igienica e di sicurezza alimentare per i consumatori finali.
Sulla denuncia sta indagando la Guardia di Finanza di Asti.
(Foto di repertorio web)