Sono stati resi noti poco fa i dettagli dell’indagine che hanno portato all’arresto di due pakistani per tentato omicidio, sequestro di persona tentata estorsione e favoreggiamento all’immigrazione clandestina. E sono terribili.
L’indagine è partita quando, a fine 2024, al Pronto Soccorso dell’ospedale di Asti è giunto un ragazzo di 20 anni, pakistano, in condizioni disperate. Era stato raccolto poco prima da una squadra di soccorritori, su un marciapiede di zona corso Matteotti su segnalazione di un passante che l’aveva trovato mentre, all’alba, si stava recando al lavoro.
Il ragazzo era in coma (e in tale stato è rimasto per alcuni giorni) e presentava fratture gravissime e molto estese soprattutto alle gambe. Compatibili con una caduta dalla finestra di un secondo piano. Chi ha visto la sua diagnosi in entrata in ospedale ha parlato di un vero e proprio miracolo il fatto che sia sopravvissuto.
Quando, dopo giorni, si è ripreso, alla presenza d un interprete di lingua urdu ha presentato querela contro i due ignoti che l’avevano ridotto in quello stato. E lo ha fatto raccontando tutta la sua disavventura.
Il ragazzo aveva raggiunto l’Italia sbarcando a Lampedusa lungo la tratta marittima (l’altra, quella terrestre, ha come approdo l’Ungheria). Era stato inviato nel Nord Italia e qui aveva incontrato persone che gli avevano organizzato un successivo trasferimento in Francia. Ma l’autobus sul quale viaggiava, da irregolare, era stato fermato alla frontiera di Ventimiglia e lui era stato fatto scendere e bloccato in Italia. Insieme ad altri connazionali.
E’ a Ventimiglia che, ha raccontato all’ispettore Lamberti che lo ha sentito più volte in ospedale, era stato avvicinato da alcuni connazionali che si erano offerti di “riprogrammare” la sua uscita dall’Italia e, nel frattempo, gli avrebbero dato ospitalità. E’ così che è arrivato ad Asti, in un alloggio di corso Matteotti insieme ai due che lui, fino a quel momento, ha pensato fossero amici. Nel cuore della notte, però, ha ricevuto un messaggio da una giovane donna pakistana conosciuta sul bus a Ventimiglia e anche lei fermata e prelevata da un altro gruppo di connazionali con la promessa di dare rifugio e aiuto. La ragazza lo metteva in guardia perchè lei era appena sfuggita ad uno stupro di gruppo.
A quel punto il ventenne ha svegliato i suoi due ospiti chiedendo di potersene andare, senza sapere che sarebbe stato l’inizio del suo incubo.
Non solo gli hanno impedito di andarsene chiudendolo in casa (di qui l’accusa di sequestro di persona) ma lo hanno pesantemente malmenato per almeno un’ora. Poi gli hanno chiesto di sbloccare il suo cellulare per fare una videochiamata ai suoi parenti rimasti in Pakistan per chiedere loro un riscatto. Altrimenti non l’avrebbero fatto uscire vivo dall’alloggio. Il ragazzo si è coraggiosamente rifiutato, neppure di fronte all’acuirsi della violenza e dell’accanimento su di lui. E si è rifiutato anche quando lo hanno tenuto appeso a testa in giù dalla ringhiera del balcone del secondo piano. A quel punto, capito che lui non avrebbe ceduto alle richieste di denaro, lo hanno lasciato cadere sul marciapiede dove è stato trovato dal passante.
L’indagine della Squadra Mobile, guidata dal dirigente Marco Barbaro con un costante contatto con il sostituto procuratore Donatella Masia che ha condotto le ricerche, si è incrociata con un altro fatto: uno dei due pakistani, già identificati durante uno dei tanti controlli fatti dalla Polizia e da altre forze dell’ordine nella zona della stazione ferroviaria e di corso Matteotti, era ricercato per un mandato di cattura europeo spiccato dall’Ungheria proprio per tratta di esseri umani.
Ma, al momento dell’arresto (per il quale la Questura di Asti ha ricevuto i complimenti della Polizia ungherese) gli investigatori ancora non sapevano che quell’uomo fosse legato al tentato omicidio del giovane pakistano. I sospetti sono arrivati quando hanno sequestrato i suoi cellulari e hanno fatto la perquisizione a casa sua. Gli investigatori che hanno compiuto queste operazioni erano gli stessi che avevano raccolto il drammatico racconto della vittima in ospedale e sono saltati all’occhio alcuni riscontri.
Di qui è stato tutto un crescendo di conferme fino al riconoscimento del giovane che all’epoca era ancora ricoverato in ospedale.
Per arrivare all’identificazione del secondo complice, è stato fatto un lavoro certosino sui sociale e sulla rete di contatti del primo arrestato. E’ stato necessario che i poliziotti astigiani arrivassero fino a Brescia (da alcuni video ripresi davanti alla stazione di quella città) e poi alla sua area industriale dove, da un fotogramma in cui si intravvedeva una planetaria per impastare il pane, si è arrivati al panificio industriale in cui lavoravano molti operai pakistani contattati regolarmente dal secondo aguzzino di corso Matteotti.
E a Brescia è stato arrestato. Ora si trova rinchiuso nel carcere della città lombarda mentre il complice è rinchiuso ad Alessandria.
«Ci sono alcune riflessioni importanti da fare su questa operazione complessa – ha detto il Questore Marina Di Donato – La prima è che abbiamo raccolto i frutti dei tanti “pattuglioni” che facciamo regolarmente nella zona della stazione e di corso Matteotti. Controlli che ci consentono di avere sempre il polso della situazione delle presenze. Non possiamo evitare che le cose accadano ma, come in questo caso, possiamo intervenire per perseguire i responsabili. La seconda è il coraggio che attraversa questa brutta storia. Quello del ragazzo che ha chiesto giustizia facendo regolare denuncia e mettendosi a disposizione per dare ogni contributo utile a far pagare le responsabilità di chi lo ha ridotto in fin di vita. E quello del passante che, pur restando anonimo, non si è voltato dall’altra parte e ha chiesto l’aiuto dei soccorritori salvando così la vita al ragazzo fuggito dal Pakistan».