Due tesi a confronto
Due impostazioni completamente opposte quelle che ieri mattina si sono fronteggiate nell’aula del tribunale di Asti dove si sta tenendo il processo a carico di Stefano Canonica e di Salah Chams Edine.
In aula il solo Canonica, affiancato dall’avvocato Laforè dello studio Mirate. Chams Edine da tempo è irrintracciabile ed era rappresentato in aula, d’ufficio, dall’avvocato Gambino.
Canonica e Chams Edine, meglio conosciuto con il soprannome di “Kamal” sono accusati di essere al centro di un vasto giro di spaccio di droga in città.
Si tratta dell’ultimo stralcio dell’operazione White Wheel condotta dalla Squadra Mobile di Asti nel 2015.
E proprio gli investigatori dell’antidroga della Mobile ieri mattina sono sfilati sul banco dei testimoni, davanti al giudice Dovesi, per rispondere alle domande del pm Macci.
Nello spiegare la genesi dell’operazione, hanno parlato di un’indagine che si è basata prevalentemente sull’intercettazione delle conversazioni di Canonica e degli altri che facevano parte del suo gruppo, molti dei quali hanno già definito la loro posizione con un rito abbreviato.
Canonica è accusato di essere il fornitore all’ingrosso dello stupefacente a Torino e di cederlo poi qui ad Asti a diverse persone; stesso capo di imputazione per Salah.
Per Canonica, però, si aggiunge anche un’altra accusa piuttosto pesante: quella di aver costretto la moglie (si sono separati da circa 5 anni) a drogarsi, forzandola a “farsi” di eroina.
Per questo, ieri mattina, è stata particolarmente interessante la deposizione della donna che ha rivestito anche il ruolo di parte offesa.
La donna, di origini filippine, ha però ritrattato in larga parte quanto aveva denunciato, di sua sponte, alla Polizia nel 2015. Nei verbali di allora vi è la denuncia di una costrizione psicologica e fisica al consumo di droga che ieri in aula ha definito in altro modo.
Ha sì ammesso che era il marito a procurarsi la droga, a comprarla, a prepararla e ad iniettargliela con la siringa nel braccio perchè lei non ne aveva il coraggio, ma ha anche detto che, all’epoca, lei era d’accordo e che non è mai stata obbligata a drogarsi.
Ha specificato che la denuncia in Questura l’aveva fatto perchè in preda alla paura. «Non volevo più vivere con lui, perchè non era quella la vita che volevo e perchè avevo una bambina piccola che si muoveva in una casa piena di siringhe usate. Ma quando ne ho parlato con mio marito, lui mi ha detto che i giudici mi avrebbero tolto mia figlia e rispedita al mio paese da sola».
Sempre nell’udienza di ieri, lo stesso imputato presente, Stefano Canonica, è intervenuto con dichiarazioni spontanee dando la sua lettura dell’indagine che lo ha portato sotto processo.
«All’epoca delle intercettazioni io ero fortemente tossicodipendente, lo ero da vent’anni – ha detto – e avevo continuamente bisogno di drogarmi, per questo motivo andavo spesso a Torino. Ma acquistavo sempre solo dosi per me, per placare la mia dipendenza, non per vendere ad altri. Anche se è vero che mi drogavo con altri, ma ognuno portava la sua dose». Al centro delle accuse una telefonata in cui lui, parlando con una ragazza con la quale intratteneva una relazione, parlava di fumo e di quei 850 euro “spesi bene”. Per gli inquirenti si tratta di una cifra usata per comprare e rivendere delle dosi, per lui invece è il conto totale di un week end passato con la ragazza in cui ha pagato albergo, pasti, discoteca e anche dosi di droga ma solo per se stesso.
Sulle dichiarazioni della moglie ha confermato che avevano consumato spesso insieme della droga, ma che lei era già dipendente prima che lui la conoscesse.
Daniela Peira