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Cronaca
Sentenza

Asti, quasi 27 anni di condanna ad Emanuele Lo Porto per un tentato omicidio, estorsione e la rapina nella villa di Santero

Pochi mesi in meno di quanto chiesto dal pm Deodato. Il collegio di giudici lo ha ritenuto responsabile di tutte le accuse

E’ arrivata dopo quattro ore di Camera di consiglio del collegio formato dai giudici Bertelli Motta, Dematteis e Dunn la condanna a carico di Emanuele Lo Porto, 64 anni, uno dei “boss” della malavita astigiani, in carcere dall’ottobre del 2023 dopo una latitanza durata qualche mese.

Alle condanne già inflitte per precedenti processi (fra i quali quello importante di usura nei confronti di una intera famiglia), si aggiunge quella di oggi, pesantissima, inflitta per capi di imputazione molto gravi riferiti a fatti accaduti fra il 2017 e il 2018.

A fronte di una richiesta di condanna a 29 anni fatta dal pm Deodato che sovrintende alla maggioranza delle indagini che  hanno riguardato Lo Porto e parte della sua famiglia, i giudici hanno comminato una pena di poco al di sotto: 26 anni, 8 mesi e 20 giorni.

Una condanna finale che è la somma di tutte quelle riferite ad ogni capo di imputazione di cui doveva rispondere. I primi 10 anni sono stati decisi per il tentato omicidio di Florian “Fiore” Gjoka, ad Asti, nell’ottobre del 2017 quando l’albanese era stato attinto da due dei tre colpi di pistola sparati contro di lui.

Altri 12 anni e 5 mesi sono arrivati per due efferate rapine avvenute a distanza di pochi giorni a Bosio, in provincia di Alessandria e a Santo Stefano Belbo, in provincia di Cuneo. Quest’ultima aveva avuto come vittime moglie e figlio minorenne di Vittorio Santero, il noto imprenditore vinicolo. Lo Porto, con altri complici che hanno scelto l’abbreviato, si è presentato alla porta della famiglia Santero indossando i passamontagna e facendosi aprire mostrando un tesserino delle forze dell’ordine. Una volta entrati in casa hanno percosso il ragazzo e lo hanno ammanettato ad un termosifone facendosi consegnare  un importante bottino in gioielli dalla madre  dietro la minaccia di tagliare un dito al figlio. A Bosio stesso copione: si sono presentati come appartenenti ai Ris e una volta entrati, minacciando e percuotendo chi voleva opporsi a loro, si sono fatti aprire le casseforti della casa e hanno portato via orologi di lusso, gioielli, monete d’oro.

Due anni e 10 mesi è la condanna per le minacce e l’estorsione nei confronti di un astigiano che doveva ad un amico di Lo Porto ancora 50 mila euro dalla compravendita di una pizzeria cittadina.

Ultimo anno e mezzo per quel fucile che, nel giugno del 2019, ha portato fuori casa per sparare colpi a scopo intimidatorio.

Lo Porto, difeso dall’avvocato Massimiliano Dei, era presente questa mattina alle repliche del pm Deodato ma non ha voluto esserci per la lettura della sentenza, chiedendo il rientro in carcere dove già sta scontando precedenti condanne definitive.

Prima che il collegio di giudici si ritirasse in camera di consiglio, sue sono state le ultime parole, dette in forma di dichiarazioni spontanee. Mezz’ora in cui ha ribattuto, come in un’appendice di arringa difensiva, alcuni passaggi delle accuse a lui rivolte. Con alcuni passaggi quanto meno curiosi come la descrizione meticolosa della villa dei Santero pur negando di essere uno degli autori della rapina e sottolineando di averla osservata solo attraverso Google Maps.

Ma è stato l’inizio delle sue dichiarazioni che ha lasciato spiazzati perché per i primi 10 minuti ha avuto parole durissime per gli investigatori ma soprattutto per il pm Deodato che ha accusato  di aver manipolato gli atti a favore dell’accusa arrivando a dedicarle aggettivi offensivi sul piano professionale e personale. «I miei avvocati non possono dire queste cose, ma io sì. Tanto, se vengo condannato per quello che dico, non è qualche mese in più che mi cambi il conto finale da scontare» ha detto.

La famiglia Lo Porto, solo tre giorni fa, si è vista notificare la confisca di case, terreni e della loro azienda di rottamazione per un valore di circa 2 milioni di euro. Un provvedimento che trae  origine e fondamento nelle stesse indagini dei carabinieri astigiani che da anni monitorano i movimenti di Emanuele, della moglie, del figlio e del cognato, con particolare attenzione anche alla loro situazione finanziaria e al loro patrimonio che sono sproporzionati rispetto ai redditi dichiarati. Considerando la “carriera giudiziaria” di alto profilo di Emanuele e tenuto conto che in più occasioni gli investigatori hanno riscontrato suoi contatti con esponenti di spicco di famiglie ‘ndranghetiste che operano sul territorio piemontese, il Tribunale di Torino ha ratificato la richiesta di confisca ritenendo che gran parte del patrimonio fosse di derivazione illecita.

Con Lo Porto, nel processo che si è concluso oggi,  erano imputati anche Gabriele Frigoli (difeso dall’avvocato Bona), per l’estorsione al venditore della pizzeria ed è stato condannato ad 1 anno e 1 mese.

Non luogo a procedere per intervenuta prescrizione per Ignazio Giovane, (difeso dall’avvocato Caranzano), con l’accusa di aver ceduto la pistola usata per il tentato omicidio di Gjoka. Stessa conclusione di non luogo a procedere per Franco Vacchina e Luca Carlo, difesi dagli avvocati Rattazzi e Lattanzio in quanto il reato loro contestato di tentata estorsione è stato derubricato in esercizio arbitrario delle proprie ragioni procedibile solo a querela. Querela che non è mai stata presentata.

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