E’ stata tutto il tempo in piedi, nel corridoio davanti all’aula di tribunale dove, per ore, quella ragazza dietro il paravento ha ripercorso come un fiume in piena gli anni di schiavitù sessuale imposti dal patrigno, Giacinto Sostero, imputato difeso dall’avvocato Marco Borio.
Una testimonianza a porte chiuse, nonostante si tratti di un processo pubblico in Corte d’Assise. Giustamente. La ragazza, attraverso il suo difensore avvocato Piano e il pm Pedrotta della Dia di Torino, ha chiesto al presidente della Corte, Alberto Giannone, di parlare a porte chiuse, visto i terribili episodi di cui ha denunciato di essere stata vittima.
Impossibile seguire la testimonianza della ragazza dal corridoio, perché schermata da un paravento che le impediva la vista del suo patrigno, rendendola pienamente libera di raccontare tutto.
Nonostante questo, quella donna è rimasta lì in piedi tutto il tempo. «Non sono la madre, ma mi sento come se lo fossi» ha detto. E’ la titolare insieme alla sua famiglia di un mercatino del riuso di Asti e sono stati loro a salvare la ragazza e la madre.
«Sono venuti da noi, sempre accompagnate da quell’uomo, per comprare dei mobili usati per la loro casa – ha raccontato – Subito non abbiamo fatto caso a loro ma è stata la ragazza che ha richiamato la nostra attenzione facendo segni di nascosto. Mio figlio ha capito che erano quelli che insegnano a fare alle donne quando sono vittime di violenza e non sono libere di parlare».
Gesti con la mano che qualcuno ha avuto la sensibilità di cogliere. L’imputato è tornato altre volte con la compagna e la figlia di lei e la famiglia di commercianti li ha seguiti da vicino, per essere sicuri di quello che avevano compreso.
«Finché siamo riusciti a parlare alle due donne, paralizzate dalla paura. Così le abbiamo accolte a casa nostra e ci siamo occupate di loro. Ai carabinieri hanno raccontato tutto quando la pattuglia è stata chiamata da lui stesso che voleva riportarsele a casa e accusava noi di sequestro. Da quel momento – conclude la donna – Mi sono occupata della ragazza, ha vissuto con noi, l’ho vestita, coccolata, le ho insegnato le cose che le madri insegnano alle figlie, l’ho aiutata come potevo. E oggi sono qui, perché le ho promesso che ci sarei stata e anche se non mi vede e io non la sento mentre sta testimoniando, lei sa che sono presente».
I giornalisti non sono stati ammessi in aula, ma l’orrore raccontato dalla ragazza (che non solo ha confermato quanto scritto in denuncia ma avrebbe aggiunto molti altri episodi e particolari agghiaccianti) era scritto negli occhi di chi ha assistito.
Persone che, ognuno nei rispettivi ruoli, di processi ne hanno visti tanti e di storie terribili ne hanno sentite, ma qui, ha detto una di loro uscendo dall’aula “siamo ad un livello inimmaginabile per un essere umano”.