In aula il marito che l’ha uccisa a coltellate
Dimesso, ordinato, silenzioso, seduto a testa bassa accanto al suo difensore, l’avvocato Mirate e circondato dagli agenti della penitenziaria.
A guardarlo nulla farebbe pensare alla furia che esattamente un anno fa ha spinto Sallah El Ghabaoui, di 48 anni ad uccidere a coltellate la moglie Saadia Hamoudi, 42 anni, nel loro appartamento di via Montebruno.
Lunedì mattina, davanti al gip Giannone, è stato sentito il perito psichiatrico da lui nominato, il dottor Koeller che ha ribadito la sua conclusione: l’imputato era capace di intendere e di volere all’atto dell’uccisione della moglie. Conclusioni alle quali si sono associati sostanzialmente sia il consulente di difesa, dottor Novellone che quello di parte civile, dottoressa Perusio.
Distrutte due famiglie.
La famiglia dai “vetri” dell’aula
Quella di El Ghabaoui, la cui sorella e alcune nipoti erano fuori, nel corridoio, per stargli vicino e sperare di poterlo salutare senza dover andare una volta in più al carcere di Cuneo dove è rinchiuso. Dai vetri, e solo dai vetri dell’aula di tribunale, El Ghabaoui ha conosciuto la nipotina nata pochi giorni dopo il drammatico femminicidio di un anno fa, quando lui era già in carcere.
E poi la famiglia della vittima, in particolare i fratelli di Saadia, non presenti ma rappresentati dall’avvocato Orlandini di Torino.
Nessun dubbio sulla responsabilità dell’uomo, che è stato visto da alcuni inquilini del palazzo di fronte a quello in cui viveva, mentre fendeva coltellate alla moglie nonostante quest’ultima cercasse di barricarsi in camera da letto. Gli ultimi colpi, i più gravi, sono stati inferti sul balcone di casa, dove la donna ha esalato gli ultimi respiri.
Il movente
Più difficile inquadrare il movente.
«Il mio assistito, nonostante straniero, era riuscito in una piena integrazione sociale ed economica (era operaio) ma viveva i un disadattamento culturale nelle relazioni di coppia» ha commentato l’avvocato Mirate.
E spiega così il suo stato dimesso: «Soffre di una pesante sindrome carceraria, come spesso accade a chi non ha mai avuto contatti con quel mondo».
I fratelli della vittima
Meno tenera nella descrizione del movente è stata l’avvocato di parte civile Orlandini.
«E’ la stessa perizia che conferma l’oppressione dell’uomo nei confronti della moglie di cui era molto geloso. Un senso di possesso e una totale svalutazione della figura femminile erano stati alla base di un trascorso di litigi, anche pesanti e, secondo quando riferito da una confidente della vittima, anche di episodi violenti mai denunciati.
L’aggressione dell’anno scorso – prosegue l’avvocato Orlandini – è arrivata al culmine di una storia già logorata da tempo, nota alle cronache famigliari. A far scattare ulteriore rabbia nell’uomo, probabilmente è stata la vacanza in Marocco che Saadia aveva deciso di fare da sola e dalla quale era rientrata da pochi giorni prima dell’omicidio».
Sotto processo per minacce
Tenendo presente che, sempre a carico di El Ghabauoi è pendente un altro processo per minacce ad una sua amica per un episodio che aveva preceduto di non molto il femminicidio della moglie.
Vi sarebbero poi stati anche profili prettamente economici nelle continui discussioni fra i due, che non avevano figli.
La donna, infatti, lavorava come badante e il marito pretendeva di disporre di tutto quanto guadagnava mentre lei, pur contribuendo alle spese di famiglia, voleva avere autonomia di gestione.
Un desiderio di emancipazione pagata con la vita.
La sentenza è attesa per il 22 ottobre quando in aula si ritroveranno davanti a Giannone gli avvocati di difesa e parte civile e il pm Deodato che formulerà la sua richiesta di condanna.