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Cronaca

Asti, sciopero della mensa dichiarato dagli agenti penitenziari

Per solidarietà nei confronti dei colleghi indagati a Santa Maria Capua Vetere e per l’insieme di problemi mai risolti nell’ordinamento carcerario astigiano

Hanno aderito tutti i sindacati

Oggi è stato il primo giorno di astensione dalla mensa di servizio e tale forma di protesta andrà avanti ad oltranza, fino a quando il Prefetto di Asti non convocherà i sindacati degli agenti di polizia penitenziaria ad un tavolo congiunto in presenza della direzione della struttura passata da Casa Circondariale a Casa di Reclusione. Lo stato di agitazione è stato indetto dal Sappe (rappresentato da Raffaele Cirillo), dall’Osapp (Claudio Carè), dal Sinappe (Emilio Miriade), dalla Uil Pa (Marco Missimei), dall’Uspp (Roberto Cecere), dalla Cisl Fns (Alfredo Pietrazzuoli), dal Cnpp (Angelo Santoru) e dalla Cgil (Gabriele Mariuzzo).

Solidarietà ai colleghi di Santa Maria Capua Vetere

I motivi sono tanti. Il primo è contingente: i colleghi agenti penitenziari di Asti vogliono così dimostrare solidarietà ai colleghi del carcere di Santa Maria Capua Vetere dove è scoppiata una rivolta nei giorni scorsi a causa di presunte aggressioni e torture ai detenuti e dove 44 agenti sono stati indagati per questo.

Una lettura che agli appartenenti alla Polizia Penitenziaria non piace affatto, tanto da dichiararsi stufi di essere visti come dei mostri quando invece, nella realtà dei fatti, dicono, «siamo noi a subire un sistema inefficiente e insicuro per la nostra incolumità».

Il gesto di solidarietà   è stato l’ennesima occasione per portare all’attenzione di tutti i problemi che gravano sul sistema penitenziario italiano. E astigiano.

Tutti i problemi del carcere di Asti

Si parte da una struttura ormai obsoleta (il carcere di Quarto è stato costruito 30 anni fa) che andrebbe completamente ristrutturata e che invece manifesta tutte le sue carenze. Che, in una comunità di carcerati oggi costituita prevalentemente da detenuti condannati all’ergastolo o a pene molto lunghe, diventa ogni istante motivo di tensioni e conflitti con gli agenti penitenziari. Mancano tv, sgabelli, tavolini, materassi, cuscini oltre ai problemi strutturali più generali  e questo non fa che generare ostilità all’interno delle sezioni. Ostilità in capo a detenuti dall’alto profilo criminale contro i quali si schiera un numero sempre più risicato di agenti di sorveglianza in un carcere colpito da una cronica carenza di personale.

Mancanza cronica di personale

Il personale manca per adempiere in maggior sicurezza alla sorveglianza, ma manca anche per le scorte (esterne e pure interne, quando ad esempio serve spostare un detenuto per terrorismo o per accompagnare dalla cella all’infermeria ogni detenuto che si lamenti di qualche malessere). Mancanza di personale anche per i lavori di manutenzione del carcere tanto che, hanno confidato i sindacati, proprio ieri la direzione ha chiesto a loro se fossero disposti a conseguire l’apposita certificazione per guidare il trattore da usare  per tagliare l’erba nei giardini intorno al perimetro del carcere.

C’è anche un serpeggiante e persistente malcontento che deriva dalla sensazione di una professione difficile che subisce ogni giorni attacchi e umiliazioni.

«Noi tutti i giorni rischiamo la pelle per far rispettare le norme carcerarie nonostante i mille ostacoli – dice Marco Missimei  della Uil – poi, con il Covid, l’amministrazione centrale ha fatto concessioni inimmaginabili ai detenuti».

“Troppe concessioni per il Covid”

Si riferisce all’alternativa ai colloqui in presenza sospesi per le norme anticontagio.

«Per evitare le rivolte che c’erano state nei giorni successivi al blocco dei colloqui – dicono i sindacalisti – in ogni carcere sono arrivati degli smartphone con i quali i detenuti potevano videochiamare una lista “autocertificata”  di numeri di telefono di amici e parenti. L’agente penitenziario può solo verificare che il numero fatto appartenga a quella lista, ma il resto della telefonata non viene sorvegliato, per legge. Così il detenuto può parlare con chi vuole, anche con un suo capo criminale paradossalmente e noi non abbiamo strumenti per saperlo né possiamo sentire cosa si dicono».

E in rete girano video di detenuti ergastolani che hanno partecipato a distanza al compleanno dei figli come se fossero in casa.

«Concessioni pericolosissime – ribadiscono i sindacati – perché fra qualche giorno si tornerà ai colloqui di persona e non sarà più possibile fare le videochiamate. Lì sì che rischieremo le rivolte più violente».

Con rischi di scontri e magari di nuove denunce anche a carico degli agenti.

«Indagateci tutti»

«Massima solidarietà ai colleghi di Santa Maria Capua Vetere – ribadisce Emilio Miriade del Sinappe – Se questo è quello che il Governo pensa di noi, allora ci indaghino tutti, tutti i 40 mila poliziotti d’Italia».

Personale allo stremo per la situazione difficile che ogni giorno deve affrontare sul lavoro «e aumentano i numeri di colleghi che si mettono in malattia – sottolinea Roberto Cecere dell’Uspp – Ma chi ha la responsabilità di far funzionare le cose, invece di chiedersi il perché di questi crescenti malesseri, invia esposti mettendo in dubbio le condizioni di salute del personale».

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