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Cronaca

Barbarossa, testimonia uno dei “big” già condannati

Attese le dichiarazioni in aula di Michele Stambè, condannato a 20 anni in rito abbreviato

Cambio di presidente

Prima udienza dopo il cambio di presidente, martedì scorso, al processo Barbarossa sulle infiltrazioni ‘ndranghetiste fra Costigliole ed Asti. A seguito della sua elezione al Csm, l’originario presidente Elisabetta Chinaglia ha lasciato il posto al dottor Roberto Amerio che ha dato tempo agli avvocati fino alla prossima udienza per formulare eventuali richieste di risentire dei testimoni già sentiti dal precedente presidente.

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L’attesa testimonianza di Michele Stambè

Fra le testimonianze più attese di martedì scorso, sicuramente vi era quella di Michele Stambè, considerato dalla pubblica accusa un personaggio di spicco della “locale” astigiana già condannato a Torino in rito abbreviato a 20 anni di reclusione.
Al processo di Asti è intervenuto in veste di testimone ma essendo un imputato di reato connesso, ha risposto alle domande assistito dal suo difensore, l’avvocato Aldo Mirate.
E non si è sottratto a nessuna delle domande che gli sono state poste dal pm Cappelli, dall’avvocato di parte civile Giulio Calosso e da alcuni difensori.
Molto sicuro di sé, con la risposta sempre pronta e a tratti polemico con la pubblica accusa, Michele Stambè ha dato la sua ricostruzione dei fatti di cui si è parlato martedì.

La “visita” all’impresario torinese

Il primo riguarda la “visita” ad un impresario del Torinese insieme allo zio Salvatore e ai coimputati Biglino e Ughetto. L’impresario, che ha già testimoniato in una precedente udienza, aveva raccontato di aver ricevuto pesanti minacce dal gruppo per questioni di debiti. E che solo l’intervento dei suoi due figli aveva scongiurato il peggio.
«Siamo finiti a casa dell’impresario per parlare di una terza ditta che aveva debiti sia con lui che con Ughetto. Si è parlato tranquillamente, ci ha anche offerto il caffè e poi siamo andati via. Non è successo nulla di quanto ha raccontato».

Il commerciante di frutta e verdura

Michele era coinvolto anche nella vicenda che riguardava il commerciante di frutta e verdura  e anche per questo ha negato ogni coinvolgimento dicendo di non conoscerlo e di essere andato a cercarlo una volta sola ma, non avendolo trovato a casa, di non aver più sentito parlare di lui.
Alla domanda dell’avvocato di parte civile Giulio Calosso sul perchè Giacosa si fosse rivolto a loro per la riscossione del debito con il commerciante, Michele Stambè ha risposto: «Non lo so, si è messo d’accordo con mio zio e io sono andato insieme sperando di guadagnarci qualcosa».

Quell’incontro al cimitero di Isola

Terzo episodio quello del commerciante di camion  che nei verbali di indagine ha dichiarato di essere stato minacciato al cimitero di Isola. «E’ vero che l’ho incontrato, ma per aiutarlo a vendere dei mezzi in modo da fargli guadagnare i soldi che doveva a Giacosa. Erano tutti amici».
Con qualche “steccata” alla pubblica accusa: «Sono stato condannato per buffonate che non esistono».

I “no” detti

Ammettendo però di aver ricevuto la richiesta di mettere del sale dentro una betoniera ad una ditta che aveva rubato il lavoro ad un’altra. «Ma non se ne fece nulla» ha detto Michele Stambè; stessa conclusione alla richiesta di un pastore che si rivolse alla sua famiglia per dare fuoco ad un capannone allo scopo di riscuotere l’assicurazione. Nega di sapere qualcosa della “stagione degli spari” a Costigliole e ci ha tenuto a dire di aver rifiutato di fare da “paciere” nella lite che aveva portato Salvatore Pisano in fin di vita a seguito di un’aggressione da parte di Giuseppe Catarisano.

Soldi ai detenuti in carcere

Sempre della famiglia Catarisano ha parlato quando ha ammesso, su domanda specifica del pm, di aver dato ordine a sua moglie di consegnare 100 euro alla moglie di Ferdinando Catarisano quando era detenuto per l’omicidio di Luigi Di Gianni. Stessa cosa fece per un altro detenuto amico.

Appalti e rapina

Un altro dei capi di accusa che più aveva fatto scalpore in zona era l’aggiudicazione dell’appalto delle tumulazioni cimiteriali a Costigliole da parte di un impresario edile molto amico e vicino agli Stambè. L’impresario ha testimoniato dicendo candidamente di aver vinto perché il primo in graduatoria aveva rinunciato all’appalto e che mai gli Stambè gli avevano chiesto qualcosa per essersi aggiudicato quei lavori.
In coda all’udienza si è parlato anche della rapina ad un anziano avvenuta a fine agosto 2015; i malviventi erano entrati in casa, avevano tagliato la cassaforte e portato via un notevole bottino in oro oltre a due fucili da caccia regolarmente detenuti. Tutto era stato ricondotto alla visita, una settimana prima, di due persone sconosciute che erano arrivate in cortile con la scusa di chiedere un’informazione. Ma l’allora badante dell’anziano, che con i due sconosciuti aveva parlato, non ha riconosciuto fra essi Sandro Caruso, accusato di essere stato uno dei rapinatori.

Risolta anche una “faccenda di cuore”

Il primo atto del nuovo presidente Amerio nel complesso processo Barbarossa ha riguardato una insolita “questione di cuore” che è stata posta al collegio di giudici.
La richiesta è stata presentata da uno degli imputati, Sandro Caruso, attualmente al regime degli arresti domiciliari, di allontanarsi dalla sua abitazione il 4 gennaio per recarsi al Castello di Costigliole per contrarre matrimonio con la sua compagna.
L’uomo, che non ha accuse di associazione mafiosa, ma è sotto processo per due singoli episodi di rapina ed estorsione, è stato autorizzato a raggiungere il Castello per il tempo necessario a contrarre il matrimonio con cerimonia in forma civile.
Nel pubblico, all’udienza di martedì scorso, c’era anche la futura sposa che attendeva con una certa trepidazione la risposta del giudice.

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