Una terapia indovinata, la voglia di lavorare e di rendersi economicamente indipendente, una sveglia all’alba rispetto alle sue abitudini, quei due chilometri a piedi che lo separano dalla sua casa di Buttigliera al supermercato Magnone di Castelnuovo Don Bosco dove voleva andare a presentare la richiesta di lavoro e poi il nulla. Esattamente un anno fa, il 27 luglio, Emanuel Marino, 31 anni, scompariva dando inizio ad una ricerca serrata durata un mese con una postazione fissa di Vigili del Fuoco di Asti sul piazzale dell’Andriano per coordinare le squadre di protezione civile e volontari che si erano uniti.
Un anno dopo, Emanuel ancora non è stato trovato.
Il ragazzo, che soffriva di una importante forma di schizofrenia, il giorno in cui si è allontanato da casa in cui vive con i genitori e un fratello, aveva con sè solo il telefono cellulare ma niente soldi nè documenti, nè abiti di ricambio.
L’ultimo segnale del cellulare è stato intercettato dai carabinieri sulla strada che da Montafia conduce a Villanova. Sono stati eseguiti sopralluoghi con elicottero, droni e cani molecolari, ma non è stato trovato nè il ragazzo, nè il suo telefonino.
Senza i suoi medicinali, fin dal giorno seguente Emanuel presentava segni di un rallentamento del passo, della parola, un affaticamento evidente. E, comunque, la sua famiglia ha detto chiaramente che non era un ragazzo che avrebbe potuto gestirsi autonomamente.
A non mollare la presa sulle ricerche è soprattutto la sorella Chiara, che fin da subito ha mobilitato tantissime persone per spargere la voce della scomparsa di Emanuel e per attaccare volantini e manifesti con la sua foto in un’ampissima zona intorno a Buttigliera. Proseguendo poi a Poirino e a Torino.
Utilizzando il tam tam dei social, in tutto questo anno ha continuamente chiesto aiuto ai tanti gruppi Facebook di “ricerca persone” sia italiani che stranieri.
E sempre lei, con l’aiuto di alcuni amici e volontari, ha seguito ogni segnalazione arrivata sugli avvistamenti di Emanuel. Tutte passate prima alle forze dell’ordine, ovviamente, ma che venivano poi riprese da Chiara che per giorni andava a verificare l’eventuale presenza di suo fratello nella zona interessata. Gli ulitmi avvistamenti giudicati più affidabili risalgono ai mesi di settembre e ottobre a Torino, in diversi quartieri della città.
Compreso quello ad un punto Caritas dove una suora che serve il cibo ai senzatetto ha detto di aver riconosciuto con buona certezza Emanuel in uno dei ragazzi che si sono presentati a lei, ma una sola volta e poi più.
Ad ottobre era arrivata anche una segnalazione astigiana, l’unica per la verità, di alcuni testimoni che avevano pensato di aver riconosciuto Emanuel in un ragazzo al bar vicino ad un distributore ma i filmati della videosorveglianza acquisiti dai carabinieri e mostrati ai genitori del ragazzo hanno escluso si trattasse di lui.
«A distanza di un anno sono ancora convinta, insieme alla mia famiglia, che Emanuel non sia solo – dice la sorella Chiara – E’ con qualcuno che si occupa di lui e che, per qualche motivo, gli impedisce di contattarci. Lui, poi, a causa della sua patologia, tende a non fidarsi di nessuno e a nascondersi da tutti ed è per questo che nessuno ancora lo ha potuto avvicinare e fermare».
Ma c’è una cosa che ancora Chiara si aspetta dopo 12 mesi di attesa vana.
«Sappiamo che le forze dell’ordine hanno fatto tanto per noi, ma chiederei se potessero riaprire le indagini, ripartendo proprio dal cellulare che mio fratello portava con sè la mattina della scomparsa e che non è mai stato ritrovato. Vedere almeno se, in questo anno, per caso si fosse riattivato».
La famiglia ha anche pensato di incaricare un investigatore privato che si dedichi 24 ore su 24 alla ricerca di Emanuel, ma per loro i costi sono proibitivi.