Condanne pesanti quelle che venerdì sono arrivate al termine del processo in rito abbreviato a carico di un gruppo di canellesi accusati di due serie di reati.
La prima riguarda un giro di spaccio di cocaina dalle dimensioni impressionanti per la città di Canelli mentre la seconda affonda nella violenza con la quale trattavano i loro clienti “debitori” che prendevano le dosi e poi non le pagavano.
Davanti al Gup Belli erano presenti Ersi Veshaj, difeso dall’avvocato La Matina, Alessandro Vaghetti, difeso dall’avvocato Mecca, Alessio Scarlata e Kladit Matoshi difesi dall’avvocato Furlanetto, Raffaele Pasquariello e Taulant Nasufi, assistito dall’avvocato Mirate.
Le condanne inflitte su richiesta del pm Macciò vanno dai 2 anni e 4 mesi di Scarlata ai 7 anni a Veshaj passando per i 2 anni e 8 mesi a Nasufi, 5 anni a Pasquariello, 5 anni e 8 mesi a Matoshi e 6 anni e 8 mesi a Vaghetti.
L’indagine era stata condotta dai carabinieri della Compagnia di Canelli che avevano intercettato la squadra di spacciatori che operavano non solo nel sud astigiano ma anche nel capoluogo e nella zona di Chieri, città di residenza di fatto di Pasquariello.
La base era la casa di Veshaj, considerato a capo dell’intera rete di spaccio della cocaina che veniva acquistata a Bergamo per poi essere smerciata sul nostro territorio.
Centinaia le cessioni ai tossicodipendenti documentate dai carabinieri appostati che hanno calcolato la movimentazione, durante l’inchiesta, di almeno 6 chili di cocaina per un giro di affari stimato nell’ordine di mezzo milione di euro.
L’episodio che diede avvio all’indagine fu la denuncia di un tossicodipendente che era stato pesantemente minacciato da Veshaj, Vaghetti e Scarlata.
L’uomo, in un momento di forte depressione, aveva iniziato a far uso di droghe e, fra gli altri, si era rifornito dagli spacciatori sotto processo. Ne era però uscito e aveva ripreso in mano la sua vita ma restavano ancora da pagare due dosi, per un totale di 160 euro. Che lui non riusciva ad onorare. Ma presto quell’iniziale debito salì a 500 euro, come “indennizzo” per l’attesa e ricevette più di una visita sgradita dei suoi debitori i quali avevano minacciato sia lui che suo fratello e sua cognata. Così violentemente da costringerlo a rivolgersi ai carabinieri.
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Corte d’Assise
- 10 Ottobre 2024
- Daniela Peira