È uscita dopo circa un’ora e mezza di Camera di Consiglio la sentenza a carico di Piero Pesce, l’uomo di Canelli che nel novembre del 2022 ha ucciso il figlio Valerio, 28 anni, a coltellate mentre dormiva nel loro appartamento.
La Corte d’Assise di Asti lo ha condannato a 15 anni di reclusione, tenendo conto della seminfermità di mente riconosciuta dal perito psichiatra forense incaricato dalla Corte presieduta dal giudice Chinaglia con la collega Dunn a latere. Il pm Cotti, nella sua requisitoria, ne aveva chiesti 21.
Pesce era presente in aula e ha accolto senza tradire emozioni la lettura della sentenza. Un comportamento che ha già spiegato in una precedente udienza durante alcune dichiarazioni spontanee: «Giudici, io la mia condanna a vita già ce l’ho ed è il dolore per aver ucciso la persona che amavo di più, mio figlio».
Numerosi i parenti e gli amici che hanno voluto sostenere lui e la sua anziana madre in questo momento molto difficile. Proprio la madre, Pina, in lacrime, lo ha salutato prima che la polizia penitenziaria lo riportasse al carcere di Biella e gli ha promesso che sarebbe andata a trovarlo. Anche se per lei è un impegno importante, vista la sua età. A salutarlo con gli occhi lucidi anche Anna, la suocera, madre della moglie dell’imputato deceduta qualche anno fa e nonna materna di Valerio. Le due donne anziane non hanno mai avuto parole di rancore verso Piero, anzi. Sia nelle loro testimonianze che nella fatica affrontata per essere presenti ad ogni udienza al tribunale di Asti, hanno confermato la loro stima per l’imputato, perchè sapevano esattamente cosa avesse passato con la malattia della moglie, il suo stato di depressione e la disperazione per quel figlio finito nella dipendenza da alcool e gioco d’azzardo.
«Non mi piace farmi vedere che piango da Piero – ha detto la madre Pina alla lettura della sentenza – ma il dolore è troppo grande, per tutto, non riesco a trattenermi».
E ringrazia l’avvocato Carla Montarolo che ha difeso Piero e ha sostenuto la famiglia.
«Per ora ci accontentiamo di questa sentenza che evidentemente ha tenuto conto delle condizioni psichiche del mio assistito e ha sostanzialmente accolto anche la tesi della nostra consulenza – ha commentato l’avvocato Montarolo – Aspettiamo le motivazioni e valutiamo se proporre appello per ottenere una ulteriore riduzione della pena».
Piero Pesce, ora costantemente sotto terapia dettata dagli specialisti, in carcere continua a preoccuparsi per la tabaccheria del figlio, per la loro casa, per le incombenze che comporta la loro proprietà.
In sentenza, la Corte d’Assise ha anche dichiarato la sua indegnità ad ereditare beni appartenenti al figlio.