«Sono un uomo distrutto. Ho distrutto la vita di mio figlio. Non mi capacito di aver fatto quel gesto. Lui era la mia unica ragione di vita»: le prime parole di Piero Pesce in pubblico hanno il potere emotivo di spazzare via un anno di congetture su quanto accaduto nel novembre del 2022 in quell’alloggio di viale Risorgimento a Canelli. E anche di far quasi dimenticare la lunga, articolata e chiara esposizione del dottor Freilone, neuropsichiatra forense, incaricato dalla Corte d’Assise di Asti a riferire sulla capacità di intendere e volere di Pesce quando ha ucciso a coltellate il figlio Valerio di 28 anni.
Subito dopo la sua deposizione, l’imputato ha chiesto di poter fare delle dichiarazioni spontanee alla giuria. E sono state dirompenti nella loro semplicità, tragicità, onestà e chiarezza.
«Io lavoravo a Nizza e appena potevo andavo ad aiutarlo nella sua tabaccheria ad Alba – ha raccontato Piero Pesce commosso al ricordo del figlio – Quando sono iniziati i suoi problemi, per me è stato devastante, perché non ho saputo affrontare la situazione. Ho fatto il possibile: l’ho accompagnato più volte all’ospedale di Verduno, al Serd di Alba, ho cercato con lui una clinica disintossicante nel Canavese».
Facendo riferimento agli ultimi mesi di vita di Valerio, quando forte era emersa la sua dipendenza dall’alcol e dal gioco alle macchinette (che peraltro aveva a disposizione nella sua stessa tabaccheria ad Alba).
«Mischiava birra e farmaci e diventava un’altra persona. Non voglio minimamente infangare la memoria del mio splendido ragazzo, ma questa sua condotta lo trasformava in un uomo non più capace di controllarsi. Voglio che tutti sappiano che non è mai stato violento, non ha mai alzato le mani contro nessuno, neppure la voce».
E poi la parte più toccante della sua dichiarazione, quella che ha fatto emergere la sua sofferenza profonda: «Quello che provo è un dolore disumano che non mi dà tregua mai. Sono seguito da specialisti, ma niente può lenire questo dolore. Valerio mi manca ad ogni respiro, io sono un uomo mezzo morto perché era l’unica persona che mi rimaneva. Ho distrutto la sua vita, la mia, ho distrutto tutto. Qualunque condanna voi decidiate, sappiate che io sono già condannato a questo dolore finchè vivrò».
Ad ascoltare le sue parole, in aula, alcuni amici che avevano anche accompagnato le due anziane nonne di Valerio: la madre e la suocera dell’imputato. Ancora una volta, per loro, l’occasione di parlare e consolare con dolcezza quell’uomo di cui hanno conosciuto la profondissima disperazione.
Pugnalate guidate da una depressione grave
Il dottor Franco Freilone, neuropsichiatra forense, perito della Corte d’Assise di Asti non ha dubbi: «In Piero Pesce, al momento dell’omicidio del figlio Valerio nel novembre del 2022, la capacità di intendere e volere era grandemente scemata. Non soffriva di psicosi, ma la depressione maggiore grave di cui soffriva e di cui hanno dato conto i primi medici del reparto di Psichiatria che lo ebbero in cura subito dopo l’arresto, aveva stravolto il senso della realtà di quanto stava accadendo al figlio e, pur non dissociandosi, lo aveva indotto a convincersi che non ci fosse più alcuna via di uscita».
Nel contraddittorio con il pm Cotti e la difesa sostenuta dall’avvocato Montarolo, è stato anche toccato il tema dell’omicidio altruistico, quello in cui una persona uccide un parente a lui caro per non vederlo più soffrire. Viste le dipendenze di cui soffriva Valerio «è stata un’ipotesi percorsa – ha risposto il dottor Freilone – ma né al primo interrogatorio, né durante i colloqui con i consulenti sono emersi elementi in tal senso».
Il movente è dunque confermato nella disperazione di Piero, che sette anni prima aveva già perso l’amatissima moglie, che in preda alla depressione che non l’aveva mai abbandonato, non vedeva alcun futuro per il figlio. Con uno spartiacque temporale importante a partire dal quale le cose precipitano.
«La visione cupa e senza scampo del futuro suo e di suo figlio – ha detto il perito in aula – si aggrava a partire da metà ottobre per sfociare poi nell’omicidio circa un mese dopo. Ce ne accorgiamo dal tono dei messaggi che si scambiano padre e figlio sul telefonino. Prima l’uomo era sempre molto propositivo nei confronti del ragazzo, lo rassicurava, lo motivava, gli scriveva frasi di incoraggiamento. Da metà ottobre il tono di questi messaggi cambia radicalmente e fa trasparire il fatto che non credesse ad una soluzione dei problemi del figlio».
Il processo riprenderà oggi, venerdì, per la discussione delle parti.