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Cronaca

"Col computer sulla scena del crimine"
Paolo Mocci, storia di un poliziotto

I tecnici della polizia scientifica svolgono un ruolo di grande rilevanza, determinante per lo sviluppo delle indagini. A raccontare un’attività primaria e affascinante del lavoro della polizia, nella realtà ben lontana però da certe immagini che ci vengono offerte da alcune serie tv, è Paolo Mocci, per dieci anni responsabile della Scientifica della Questura di Asti, in pensione dallo scorso 18 dicembre. Dei 35 anni trascorsi in Polizia, ben 27 alla Scientifica…

Sono i primi ad intervenire sulla scena del crimine. A loro spetta il delicato compito di individuare e raccogliere le tracce che potranno rappresentare gli elementi fondamentali per risolvere un delitto. I tecnici della polizia scientifica svolgono un ruolo di grande rilevanza, determinante per lo sviluppo delle indagini. A raccontare un’attività primaria e affascinante del lavoro della polizia, nella realtà ben lontana però da certe immagini che ci vengono offerte da alcune serie tv, è Paolo Mocci, per dieci anni responsabile della Scientifica della Questura di Asti, in pensione dallo scorso 18 dicembre. 35 anni di lavoro in polizia, di cui 27 dedicati proprio al lavoro della Scientifica. Classe 1958, originario di Carbonia, nel Sulcis della Sardegna, inizia la sua carriera frequentando nel 1977 la scuola di polizia a Caserta: la prima destinazione è Milano, al reparto Celere, dove rimane per un anno e mezzo.

arrivo ad Asti nel 1978: incarichi alle Volanti, alla Squadra mobile e, dopo otto mesi di corso alla scuola superiore di polizia a Roma e poi a Torino, entra a far parte della sezione della Scientifica. Sono in otto a portare avanti il lavoro dell’ufficio astigiano: «Ci si occupa del fotosegnalamento, ovvero della fotografia di indagati oppure degli extracomunitari al fine del permesso di soggiorno e del rilevamento delle impronte digitali; della documentazione durante servizi di ordine pubblico; e dell’attività primaria della polizia scientifica, ossia l’intervento sulla scena del crimine – spiega Mocci – Si tratta di un lavoro delicato, perché occorre documentare tutto nei minimi dettagli senza, in alcun modo, inquinare la scena in cui è avvenuto un fatto criminoso: in questa fase è fondamentale non commettere il minimo errore, perché, altrimenti, il rischio sarebbe quello di vanificare tutto il successivo lavoro di indagine. Si procede alla documentazione fotografica e scritta, cioè quello che chiamiamo il “ritratto parlato”; poi si guarda alla ricerca di tracce, che potranno essere rappresentate da impronte digitali, sostanze ematiche, impronte plantari, mozziconi di sigarette e residui in genere. Successivamente ci sarà l’analisi degli elementi raccolti per stabilire il modus operandi del responsabile del crimine».

Occorre naturalmente mettere un po’ da parte le emozioni, per poter operare al meglio: «Quando si è alle prime esperienze di un lavoro come questo può capitare di ritrovarsi emotivamente coinvolti, poi si fa esperienza e si riesce a stabilire un certo distacco», ci dice Paolo Mocci. Molti i casi avvenuti nell’astigiano che si è trovato ad affrontare in 27 anni di servizio. Tra gli ultimi, davvero tragico l’episodio che era avvenuto lungo la ferrovia nella zona di Quarto: un 50enne, in fuga dopo una lite finita con un’aggressione, si era arrampicato su un traliccio dell’alta tensione, in un momento di terribile disperazione. Quel suo gesto gli fece trovare una morte orribile: la folgorazione provocata dalla corrente elettrica inchiodò il suo corpo al traliccio, accartocciato come un fantoccio, mentre la sua testa sbalzò a metri di distanza. Una scena terribile, sulla quale arrivarono anche i tecnici della polizia scientifica.

«Sono tanti i casi avvenuti nel corso degli anni che mi sono rimasti impressi: per ricordarne uno, quello dell’omicidio di Margherita Bonetto, uccisa nella sua casa di via Pascoli – ricorda Mocci – Viveva proprio nella stessa zona in cui abitavo io». Vittima del delitto, avvenuto nel febbraio 1999, una pensionata di 67 anni, uccisa fracassandole la testa, forse a colpi di martello. Tra le particolarità rilevate nelle indagini su quell’omicidio fu lo scenario surreale con cui si presentò agli inquirenti il suo alloggio al piano rialzato: la camera da letto in cui fu rinvenuto il cadavere presentava schizzi di sangue ovunque, mentre neppure una goccia ne fu trovata dai tecnici della Scientifica oltre la soglia della porta di quella stanza, il resto dell’appartamento era perfettamente pulito.

Sono passati quattordici anni, ma l’evoluzione dell’investigazione scientifica non avrebbe probabilmente cambiato gli esiti di quell’inchiesta: «Con il passare degli anni sono molto cambiate le tecniche, soprattutto per quanto riguarda la ricerca biologica e chimica, attraverso l’analisi del Dna – sottolinea Mocci – E si è sviluppato anche il sistema di rilevamento delle impronte digitali. L’uso dei computer consente inoltre di velocizzare il lavoro. Ma resta fondamentale l’apporto dell’uomo, con la sua capacità e intuizione». Ricordando i suoi anni di lavoro, Mocci evidenzia l’apprezzamento che è sempre stato rivolto alla polizia scientifica astigiana, rivolgendo anche un ringraziamento ai colleghi con cui ha lavorato. Ed esprime un suo grande orgoglio: «Quello di aver lavorato come tecnico della Scientifica proprio ad Asti, la città che diede i natali a Salvatore Ottolenghi, il fondatore nel 1903 della polizia scientifica, la prima nel mondo.

Marta Martiner Testa

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