E' stato diffuso il testo integrale delle dichiarazioni spontanee che Michele Buoninconti ha reso di fronte al giudice Roberto Amerio poco prima che lui si ritirasse in Camera di Consiglio. Un
E' stato diffuso il testo integrale delle dichiarazioni spontanee che Michele Buoninconti ha reso di fronte al giudice Roberto Amerio poco prima che lui si ritirasse in Camera di Consiglio. Un testo lungo, scritto, per leggere il quale Michele ci ha impiegato oltre venti minuti. Diversi i punti toccati e i passaggi importanti. Uno di questi, all'inizio del testo, riguarda un'accusa precisa e diretta ai carabinieri che, per primi, si sono interessati della vicenda la mattina della scomparsa. Lui parla di "disistima" dimostrata nei suoi confronti e della diffidenza del maresciallo e del carabiniere che non hanno creduto al denudamento della moglie prima della fuga.
E' seguita poi una lunga disquisizione in cui ha spiegato che nessuno aveva riconosciuto i sintomi della psicosi nella moglie e la sua scelta di non nominare un consulente medico legale all'autopsia era stata dettata dalla sua assoluta innocenza non avendo nulla da temere. Lascia perplessi, invece, un passo delle sue dichiarazioni in cui, senza che nessuno ne avesse mai parlato prima, nè nei capi d'accusa, nè nelle varie relazioni dei consulenti, nè nei confronti fra di essi in aula, tira fuori una ricostruzione del presunto omicidio di cui è incolpato molto precisa, anche troppo tecnica per essere un uomo che si sta rivolgendo al giudice con il cuore in mano.
Dice Michele: «Giudice, davvero lei crede che sia possibile che io, con una mano abbia serrato gli orifizi di mia moglie per sei lunghissimi minuti senza che lei si difendesse, senza che lei provasse a togliermi la mano, senza che mi mordesse o mi graffiasse allungando così inesorabilmente i tempi del presunto omicidio?» Nessuno ha mai parlato dello strangolamento con una sola mano rimandando poi citazioni a testi di medicina legale evidentemente suggeriti dai suoi consulenti del processo.
E poi ancora: «Signor giudice, come avrà avuto modo di leggere sulle carte, io non avevo alcun motivo per uccidere mia moglie. Un presunto motivo se lo sono inventato i miei accusatori ma non l'hanno provato. Il loro libero convincimento non ha alcun fondamento, l'accusa si è inventata una crisi matrimoniale che non c'è mai stata, non ho mai avuto una discussione con Elena, nè mia moglie si è mai lamentata di me con nessuno, nè ha mai parlato con me o con altri di divorzio, non ero a conoscenza dei suoi presunti tradimenti. Mia moglie era malata, si sono approfittati di lei. La mia vita è ormai un libro aperto e non c'è nulla di cui io non vada orgoglioso, ho solo il rimorso di non aver capito l'entità del disagio psichico di mia moglie quella notte e di non aver chiamato un medico».
E poi un attacco anche al parroco di Motta, che per molti mesi è stato un personaggio importante nella ricerca di Elena. «Non credo ai tradimenti di Elena, penso piuttosto che abbia frequentato soggetti che si sono approfittati di lei in un momento di debolezza e quando si sono accorti delle sue difficoltà hanno taciuto. Ha taciuto anche don Roberto, non mi ha voluto riferire che cosa gli avesse confidato Elena. A me, suo marito, ma non ha avuto remore a rilasciare interviste televisive dove si è aperto invece con i giornalisti e ciò mi ha profondamente addolorato».
L'ultimo appello al giudice, Michele lo fa accorato: «Sono più di 9 mesi che mi trovo in carcere accusato di un infamante omicidio che non ho commesso, le chiedo di porre fine a questo strazio per i miei figli, per me e per Elena che non avrà pace finchè tutta la verità non verrà fuori. Lei crede che coloro che mi hanno condotto qui, di fronte a lei, ignorando la verità e qualsiasi giustizia saranno mai in grado, una volta che sarò fuori, di ridarmi la mia vita passata? Non si renda complice di questo errore giudiziario».
d.p.