Tutt’altro che chiusa la vicenda giudiziaria sul maxi fallimento della cosiddetta “Galassia Marenco”, dal nome dell’imprenditore astigiano che ha creato dal nulla un impero di società che si muovevano sullo scacchiere internazionale del commercio di energia.
Il sostituto procuratore Laura Deodato, al termine di un vaglio certosino di migliaia di documenti contabili (e non solo), ha chiuso le indagini per una seconda tranche dell’indagine che, originariamente, era stata portata avanti dal sostituto procuratore Tarditi.
In questo nuovo filone sono 20 gli imputati che dovranno rispondere di reati societari e fallimentari: oltre a Marco Marenco anche persone del suo entourage e amministratori, sindaci, gestori delle 9 società entrate in questo nuovo processo.
I 20 imputati sono stati “scremati” da una platea quasi doppia di persone coinvolte, a vario titolo, nei reati societari le cui posizioni, per tipologia di accusa, sono state stralciate e inviate ad altre autorità giudicanti.
Marco Marenco attualmente si trova in libertà, dopo aver scontato una prima pena derivante dal patteggiamento a 5 anni del maggio del 2018. Per arrivare al suo arresto era stata necessaria la richiesta di estradizione alla Svizzera, che l’aveva concessa.
Delle innumerevoli società che Marenco si intestò, forse la più nota al pubblico è la storica Borsalino ma in realtà i grandi profitti derivavano dal business dell’energia: elettrica, idroelettrica, gas, geotermica. Con contrattazioni di grandi forniture che avevano come controparti i giganti mondiali di questo settore.
Tanto per citarne una, Marenco aveva fatto affari per molto tempo con la russa Gazprom.
La Procura di Asti era arrivata a Marenco a seguito di di ammissione al concordato di otto società energetiche appartenenti al Gruppo Marenco con sede ad Asti. La procedura prevede un’indagine per intercettare un eventuale reato di bancarotta fraudolenta ed è da questo piccolo capo della matassa che si è arrivati a “scoperchiare” quello che è stato identificato dagli inquirenti come il “Sistema Marenco”.
Tutto parte da un vorticoso carosello di società e di compravendita fra loro: passaggi continui che servono, secondo gli inquirenti, a distrarre ingenti somme di denaro per evadere le imposte e le accise ma anche per non pagare i fornitori e neppure le banche alle quali venivano chiesti importanti finanziamenti portando a garanzia il fatturato generato da quella stessa attività “gonfiata”.
Ad un certo punto Marenco prendeva i soldi da una parte per coprire qualche pagamento aprendo continuamente dei debiti.
A conti fatti, il “buco” prodotto dalle sue società si è attestato fra i 3 miliardi e mezzo e i 4 miliardi di euro, il più grave in Italia dopo il crac Parmalat.
Daniela Peira