«Non è razzismo, ciò che chiediamo è legalità e sicurezza». Non ci stanno gli esercenti dei chioschi del Parco della Resistenza o di Viale alla Vittoria ad essere definiti razzisti. Di fronte
«Non è razzismo, ciò che chiediamo è legalità e sicurezza». Non ci stanno gli esercenti dei chioschi del Parco della Resistenza o di Viale alla Vittoria ad essere definiti razzisti. Di fronte alla postula insistente, ai dispetti e alle minacce di alcuni dei nomadi di etnia Rom provenienti dai campi cittadini, i commercianti hanno fatto quadrato e attraverso una petizione che ha già raccolto 250 firme invocano lintervento delle istituzioni per arginare il fenomeno che nellultimo mese, ci dicono, ha subito una sensibile recrudescenza.
«Le facce sono sempre le stesse, le solite venti persone che girano in gruppetti di quattro/cinque. Prima capitavano in negozio saltuariamente. Ora è un appuntamento quotidiano» racconta un testimone. Un appuntamento sgradito, perché come spiega una commessa lingresso avviene sempre da parte di un adulto (normalmente una donna) accompagnato da un stuolo di tre/quattro bambini che portano caos e confusione, aggirandosi intorno alla cassa e sottraendo quello che rimane a portata di mano. «Mentre ladulto chiede lelemosina, i piccoli curiosano in giro e se non stai attenta afferrano qualcosa e se lo portano via continua la commessa io ne ho già sorpreso qualcuno». Chiediamo se al gesto ha fatto seguito una denuncia. «No ci risponde sconfortata – perché sono minori, alcuni davvero molto piccoli. Lo sappiamo noi e lo sanno loro che tanto il gesto non può avere conseguenze».
Cè poi chi non si arrende alla prepotenza e di fronte a certi comportamenti non esita a chiamare le forze dellordine. Alcuni lodano il potenziamento dei controlli da parte dei Vigili Urbani allinterno del parco anche se vorrebbero un ulteriore sforzo da parte di Polizia e Carabinieri. «Ci sentiamo comunque abbandonati. Di fatto non si può fare gran che racconta un commerciante le forze dellordine ci consigliano di chiuderci dentro ma come possiamo? Siamo unattività commerciale, la porta deve rimanere aperta». Paura poi per chi lavora da solo, specie se è una ragazza. «Lo ammetto, non sono tranquilla quando li vedo arrivare. Non mi sento sicura e cerco sempre di avere il telefono vicino e qualcosa con cui difendermi in caso di necessità» spiega una commessa. Chiediamo di fare una fotografia al negozio, di riportare i nomi dei testimoni. Tutti rifiutano perché, ci dicono, temono le ritorsioni. «Le minacce sono allordine del giorno racconta la titolare di un negozio, agguerrita ma comunque prudente se fai la voce grossa, per un po girano al largo. Quando però ti minacciano di dar fuoco al negozio, diventa difficile dormire sonni tranquilli. In fondo loro non hanno nulla da perdere, noi tutto».
Anche nel vicino supermercato di Piazza Alfieri, il Carrefour, lamentano gli stessi problemi. «Quando li vediamo entrare vengono seguiti a vista docchio spiega il Direttore ciò nonostante capita di sorprenderli comunque a sottrarre dei prodotti. Ci provano. A noi non resta che farci consegnare la merce e mandarli via». In corso Alfieri i commercianti rifiutano la politica del chiuditi dentro e così hanno creato liniziativa del gruppo condiviso su WhatsApp: quando uno di loro scorge un nomade, invia un messaggio attraverso il suo Smartphone che in tempo reale allerta tutti gli esercenti di bar, tabaccherie e negozi del corso che hanno aderito alliniziativa. «I benpensanti magari potranno anche indignarsi di questa trovata racconta uno dei titolari ma non abbiamo molti strumenti per difenderci. Io sono per lintegrazione e laccoglienza ma le regole del vivere civile vanno rispettate. Da tutti».
Lucia Pignari