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Cronaca

Gli astigiani si sposano
meno e sempre più tardi

Gli astigiani si sposano sempre meno e sempre più tardi rispetto a qualche anno fa. In linea con il trend nazionale degli ultimi anni anche nella nostra città, l'istituzione del matrimonio

Gli astigiani si sposano sempre meno e sempre più tardi rispetto a qualche anno fa. In linea con il trend nazionale degli ultimi anni anche nella nostra città, l'istituzione del matrimonio sembra essere in crisi. La mancanza di una sicurezza economica certamente è per molti un ostacolo da non sottovalutare nella decisione di compiere il grande passo, così se i matrimoni diminuiscono del 7% a livello nazionale, nell'astigiano siamo passati da 738 a 725 matrimoni celebrati in un anno. Nella sola Asti le coppie convolate a nozze nel 2014 sono state 207 (di cui 56 straniere) e, ancora in linea con il trend nazionale degli ultimi anni, 137 hanno scelto il rito civile mentre solo 70 quello religioso.

Non solo cambia il tipo di matrimonio ma anche l'età alla quale ci si sposa per la prima volta. Se solo pochi anni fa l'età media degli sposi era di 29 anni per lei e 31 per lui oggi è di 30 per lei e 34 per lui. Ancora più alta, anche se di poco, rispetto ai dati nazionali, l'età media delle spose astigiane che aspettano in media fino al 31esimo compleanno per indossare l'abito bianco; così come slitta in avanti anche l'età del primo figlio sia all'interno del matrimonio sia per le coppie che scelgono la convivenza.

Sfatato il mito della crisi del settimo anno: le coppie italiane che scelgono di dirsi addio lo fanno mediamente a 15 anni dal sì, 9 nel caso di coppie miste per le quali, a livello nazionale, si registra un incremento di separazioni. In aumento anche le coppie che scelgono di dirsi addio ad appena due o tre anni dal matrimonio. Così ad Asti, a solo un mese dall'entrata in vigore della legge 162 che introduce quello che è stato soprannominato il "divorzio in Comune", si contano già numerose richieste.

Una contrazione della nuzialità e un'instabilità coniugale che Dario Rei, docente di politica sociale all'Università di Torino, considera, così come accade per la frammentazione di molti altri aspetti della vita sociale, figlia dell'incapacità di fare progetti a lungo termine: «Una condizione che può sicuramente essere in parte dovuta e accentuata dalla condizione di crisi che stiamo attraversando, ma che ha origini più remote. Un approccio più fluido e contingente alle scelte di vita, considerate sempre reversibili, lo ritroviamo infatti con l'emergere dei valori cosiddetti post-materialistici degli anni Settanta. Accanto a ciò non è di secondaria importanza il fatto che la famiglia, nel nostro Paese, non ha nessun tipo di sostegno organizzato e permanente da parte delle istituzioni e delle politiche sociali, che la aiuti a svolgere adeguatamente il suo ruolo e finisce per essere vissuta più come un impegno oneroso che non come risorsa e punto di riferimento in un tempo di grande crisi e depressione».

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