Esattamente un anno fa Lamin arrivava in Italia a bordo di un barcone pieno di disperati come lui; appena toccata terra veniva inviato a Torino e da qui "smistato" insieme ad altri cinquanta
Esattamente un anno fa Lamin arrivava in Italia a bordo di un barcone pieno di disperati come lui; appena toccata terra veniva inviato a Torino e da qui "smistato" insieme ad altri cinquanta a Gorzano, nella palestra messa a disposizione dalla parrocchia per dare un primo rifugio a chi era in fuga dalla Libia. Ieri, giovedì, quello stesso Lamin ha sfondato una finestra con la testa tentando di gettarsi dal terzo piano di un palazzo di Asti per farla finita. Dopo un anno in cui è stato accolto, nutrito, vestito, seguito in un percorso per imparare l'italiano; dopo un anno in cui ha partecipato a numerose attività in compagnia di altri profughi come lui ma anche di italiani e volontari che lo hanno fatto sentire a casa; dopo un anno di accoglienza in una famiglia di connazionali che gli hanno restituito un senso di appartenenza, il ragazzo non ha retto alla notizia dell'ennesimo rifiuto di concedergli un visto umanitario.
«Gli abbiamo comunicato l'esito del ricorso al tribunale che avevamo fatto dopo il primo diniego della Commissione – spiega Alberto Mossino che, con il Piam, ha coordinato l'accoglienza dei migranti nell'Astigiano in questo impegnativo anno – e gli abbiamo anche detto che, per la legge italiana, lui non ha più diritto all'accoglienza, lo Stato non paga più i 30 euro giornalieri per il suo mantenimento. Lui, da ieri, è un irregolare e potrà ancora fare ricorso in Corte d'Appello, ma nel frattempo non può essere trattato come profugo». Una reazione disperata, la stessa che lo aveva spinto sul barcone, vanificata solo dal tempestivo intervento degli operatori che gli hanno impedito di portare a termine il suo tentativo di suicidio. Dopo essere stato medicato per le ferite riportate al volto, è stato inviato ad una comunità psichiatrica della quale non si sa chi pagherà i conti. «E' questo solo il primo di una serie di ragazzi ai quali bisognerà comunicare la stessa notizia: per lo Stato italiano che li ha accolti, li ha mantenuti sostenendo un costo di circa mille euro al mese, li ha illusi per un anno, non sono profughi e non hanno diritto a nulla – prosegue Mossino che si chiede – Ha senso questa politica? Ha senso aver investito denaro e risorse in persone che da cittadini, per mano dello Stato, diventano clandestini?».
Clandestini che non hanno soldi nè contatti per tornare in patria nè per andare altrove e che, dunque, diventano facile preda della criminalità o, peggio, dei fanatismi integralisti che tanta paura ci stanno facendo. Uno Stato che, a guardare le cose dal lato meramente economico, sta spendendo soldi per "fabbricare" dei clandestini mentre sarebbe più conveniente elargire un visto umanitario che consentirebbe a questa massa di persone di poter circolare liberamente e alla luce del sole in Europa, essendo continuamente rintracciabili e di facile monitoraggio.
Se questa politica non vedrà un'inversione di rotta, secondo l'esperienza del presidente Piam si verrà a creare un grande problema di ordine pubblico per la gestione di questi profughi che semplicemente spariranno dall'ufficialità per andare ad ingrossare le fila dell'illegalità. «E come associazione non abbiamo alcuna intenzione di fare il "lavoro sporco" per conto del Governo – conclude amaro Mossino – noi ci occupiamo di accoglienza. D'ora in avanti le comunicazioni che riguardano gli esiti dei ricorsi le diano le Prefetture, così il Governo si renderà presto conto della pericolosità di questa situazione».
Daniela Peira