Il noto nicese, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, aveva anche parlato al telefono con un calabrese a proposito del giornalista Giovanni Tizian dicendo che meritava di essere “sparato in bocca”
Il suo nome era finito alla ribalta delle cronache nazionali per quella bruttissima telefonata con un calabrese nella quale, parlando del cronista di giudiziaria della Gazzetta di Modena e de l’Espresso, disse che si meritava di essere “sparato in bocca”.
Guido Torello, nicese, è stato condannato nei giorni scorsi a 9 anni di carcere con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
“Torellino”, così è conosciuto nella sua città natale di Nizza Monferrato dove, dopo il fallimento della concessionaria di famiglia negli Anni Novanta, si dedicò a svariate attività di intermediazione inciampando di tanto in tanto in guai giudiziari; era finito nelle reti dell’operazione Black Monkey sul gioco d’azzardo illegale a Modena gestito, secondo gli investigatori della Guardia di Finanza (e ora anche secondo i giudici) dalla famiglia di Nicola Femia, un boss della ‘ndrangheta.
L’inchiesta, partita da Modena, si estese a 12 regioni d’Italia e portò al sequestro di 1500 schede madre di slot machine contraffatte per aggirare le comunicazioni ai Monopoli di Stato e lucrare illecitamente sulle giocate. La Finanza, tanto per dare un’idea dell’imponenza dell’operazione, sequestrò beni per 90 milioni di euro e il processo approdò in tribunale con 23 imputati. Il più importante sicuramente è Nicola Femia e con lui il figlio, la figlia e il genero. Tantissime le parti civili, compreso il giornalista Giovanni Tizian, destinatario della pesante minaccia e l’Ordine dei Giornalisti.
La telefonata avvenne alla fine del novembre 2011, quando Torello lavorava come “colletto bianco” della famiglia Femia e facilitava i contatti “giusti” per una gestione sempre più redditizia dell’attività del gioco d’azzardo illegale.
«Io risolvo problemi» così si era presentato Torello al boss calabrese e nella ricostruzione del Gico della Finanza coordinata dalla DDA di Bologna, è emersa una sua “statura” importante all’interno dell’organizzazione con la grande fiducia che il boss riponeva in lui. Torello metteva in contatto le persone, creava occasioni, sfruttava la sua vasta rete di conoscenze per portare a segno sempre nuovi affari nell’ambito del gioco illegale e poi cambiava pelle e diventava consulente per gli investimenti dei proventi illeciti.
Tizian, quattro giorni dopo l’intercettazione della minaccia, venne contattato dalle forze dell’ordine e venne messo sotto scorta. Da allora vive una vita in cui la propria libertà e fortemente limitata dalle disposizioni per la propria incolumità.
Minacce che non si sono fermate neppure nel corso del processo.
Tizian, lei ha mai conosciuto il nicese Torello?
No. Ovviamente non lo conoscevo prima dell’inchiesta ma neppure ebbi modo di incontrarlo in tribunale durante il processo. Alle udienze cui ho partecipato, come testimone o come cronista, lui non era presente.
Modena ha caratteristiche e dimensioni simili ad Asti. L’inchiesta che lei condusse riguarda solo la sua città o tutte le piccole province italiane dovrebbero preoccuparsi delle infiltrazioni mafiose sul loro territorio spesso invece negate?
Anche a Modena avevano sempre escluso che le lunghe mani della ‘ndrangheta fossero arrivate fin lì, invece l’inchiesta prima e la sentenza poi hanno smentito questa convinzione. Asti, poi, si trova nel cuore del Piemonte, una regione dove ci sono già state moltissime occasioni per toccare con mano la presenza dei clan mafiosi in molti settori. E la ‘ndrangheta è molto più globalizzata dell’organizzazione di chi dovrebbe intercettarla e contrastarla. Non si può pensare di essere immuni dalle infiltrazioni mafiose quando ci si trova a 70 chilometri dalla città dell’operazione Minotauro, tanto per dirne una.
Lei, alla lettura della sentenza di condanna ha pianto. E’ stata la speranza di vedere finalmente più vicino il ritorno ad una vita normale?
E’ stata la presa di coscienza che stava finendo un periodo di paure e di incertezze. Una vita, quella sotto scorta, alla quale non ci si riesce ad abituare.
Daniela Peira