Cerca
Close this search box.
<img src="https://lanuovaprovincia.it/wp-content/uploads/elementor/thumbs/il-corpo-scomposto-di-elena-raccontabrdi-una-morte-per-assideramento-56e6a888f1f891-nkidm7d9wyfj95wofivmf1e28zu3jldjgrsrewlp54.jpg" title="«Il corpo scomposto di Elena racconta
di una morte per assideramento»" alt="«Il corpo scomposto di Elena raccontadi una morte per assideramento»" loading="lazy" />
Cronaca

«Il corpo scomposto di Elena racconta
di una morte per assideramento»

«Questo processo è fondato su un errore di partenza insormontabile: non vi è la certezza della causa di morte e se non si può dire per cosa Elena Ceste sia morta, non c’è la prova

«Questo processo è fondato su un errore di partenza insormontabile: non vi è la certezza della causa di morte e se non si può dire per cosa Elena Ceste sia morta, non c’è la prova dell’omicidio e Michele non dovrebbe stare in carcere»: queste le lapidarie considerazioni a caldo che l’avvocato romano Giuseppe Marazzita ha rilasciato ai giornalisti all’uscita dalla lunga arringa di mercoledì scorso al tribunale di Asti. Già, perchè questa volta la parola è andata agli avvocati di Michele Buoninconti, ancora una volta presente in aula (con la camicia regalata e fatta benedire dall’amico Sandro Caruso che attendeva in corridoio di salutarlo) come i genitori di Elena accompagnati dai loro avvocati di parte civile Tabbia e Abate Zaro. Marazzita ha diviso l’arringa con il collega Enrico Scolari, di Ivrea.

Il primo ha ripercorso punto per punto le conclusioni dei consulenti della pubblica accusa e della parte civile andando a scovare tutti i “buchi neri” delle relazioni e delle indagini, soprattutto nelle prime fasi quando ancora si lavorava ad un scomparsa di persona e non ad un omicidio. L’avvocato romano, invece, ha tratteggiato lo stato emotivo e psicologico di Elena. Partendo, anche lui, da una consulenza, quella commissionata dalla pubblica accusa, che concludeva con un’affermazione: Elena si trovava in uno stato di deficit psichico tale da non pensare al suicidio ma compatibile con atti autolesionistici. Di qui trova la ragione della ricostruzione della sparizione di Elena il 24 gennaio 2013 da casa, in preda ad una crisi psicotica che la spinge a denudarsi e a sfuggire a qualche persecutore immaginario. Elena non voleva uccidersi, voleva solo scappare e poi nascondersi nel canale, ma non si è resa conto, dice la difesa, che così facendo sarebbe morta per freddo, come in effetti è poi avvenuto. E’ stato l’avvocato Scolari ad insistere su questo punto: non avendo la prova che sia morta strangolata, perchè non può essere morta di freddo?

Smontando anche la certezza di altissima improbabilità di questa causa di morte dichiarata dai consulenti di accusa e parte civile. «C’è una probabilità su 1 milione, forse anche meno che sia morta di freddo, anche perchè il suo corpo è stato ritrovato composto come un soldatino e questo non capita mai negli assiderati che, negli ultimi attimi della loro vita hanno invece movimenti involontari che scompongono i loro arti». «Chi l’ha detto che il cadavere di Elena era composto? – ha detto Scolari – basta guardare le foto del rinvenimento per accorgersi che un braccio era riverso in fuori, che il tronco era quasi adagiato su un fianco, la testa inclinata e le gambe ripiegate su se stesse». Altro punto importante toccato nell’udienza di mercoledì è stato quello delle tracce di fango sui vestiti, fra i pilastri dell’accusa. Per Scolari le metodologie usate per repertare quei vestiti non sono state corrette e parla di “contaminazione” che rendono inutilizzabile l’indizio.

Quello della metodica dei repertamenti è un tema ricorrente nell’arringa dell’avvocato piemontese che ha più volte citato le motivazioni con la quale la Corte di Cassazione ha assolto Sollecito e la Knox nel processo di Perugia per la morte di Meredith. «Nei processi indiziari, come questo, ogni elemento d’accusa deve avere caratteristiche ben precise per assurgere al rango di prova e, qui come nel caso Sollecito, non si sono riscontrate queste caratteristiche». Contestate anche le conclusioni relative al posizionamento e agli spostamento di Michele attraverso gli agganci alle celle telefoniche: «Sono dati troppo imprecisi per stabilire la posizione esatta della persona che detiene il cellulare» ha detto Scolari. Michele, all’udienza di mercoledì, è sembrato meno sicuro e più provato rispetto alle precedenti presenze in tribunale. «E’ un uomo che patisce l’ingiustizia della carcerazione e dell’accusa – ha spiegato l’avvocato Marazzita – Dopo le arringe dei suoi difensori si è rincuorato ma soffre per la mancanza dei figli e per la consapevolezza del fatto che, anche venisse assolto, loro possano vivere per sempre con il dubbio che lui abbia ucciso la madre». Il processo riprenderà il 4 novembre con le repliche e la sentenza del giudice Amerio.

Daniela Peira

Condividi:

Facebook
Twitter
WhatsApp

Le principali notizie di Asti e provincia direttamente su WhatsApp. Iscriviti al canale gratuito de La Nuova Provincia cliccando sul seguente link

Edizione digitale
Precedente
Successivo