A due settimane dal processo in Corte d’Appello d’Assise che si terrà a Torino sull’omicidio del tabaccaio di corso Alba Manuel Bacco, le sorti di due imputati si intrecciano con il maxi processo che si sta tenendo nell’aula bunker allestita nell’area industriale di Lamezia Terme, in Calabria.
Alla sbarra 325 imputati, un piccolo esercito che la Procura della Repubblica di Vibo Valentia ha scremato dai tanti nomi che sono emersi nella complicata operazione antimafia Rinascita-Scott che ha visto più ondate di arresti.
Fra i tanti imputati anche un astigiano, Antonio Guastalegname, accusato di aver trasportato droga dalla Calabria al Piemonte. Sempre lui è uno dei cinque imputati dell’omicidio Bacco, insieme al figlio Domenico, a Jacopo Chiesi, Fabio Fernicola e Antonio Piccolo già condannati a 30 anni in primo grado.
Proprio Piccolo è comparso in più punti della lunga deposizione di Emanuele Mancuso, un super-pentito di ‘ndrangheta che la DDA ha chiamato a deporre per ricostruire una gran parte delle attività della mafia calabrese non solo a Vibo, ma in tutta Italia.
In più udienze, seguite in videoconferenza da Guastalegname dal carcere di Novara alla presenza del suo difensore, l’avvocato Caranzano, Mancuso ha raccontato che l’attività della famiglia Piccolo era strettamente connessa a quella dei Mancuso, fra i boss della ‘ndrangheta calabrese.
Va subito detto che nè Antonio Piccolo, nè altri della sua famiglia sono imputati nel processo Rinascita Scott, ma il collaboratore di giustizia li dipinge come efferati appartenenti al “gruppo di fuoco” di cui i Mancuso si servivano per regolare i conti.
E non solo in Calabria, tanto che il pentito ha dichiarato di essere stato sentito dalla DDA piemontese per una serie di rapine e omicidi compiuti anche in Piemonte.
Le domande dei difensori di Guastalegname per sapere da Mancuso se avesse informazioni anche su delitti compiuti nell’Astigiano, con il chiaro intento di arrivare a svelare qualcosa di più sull’omicidio Bacco, sono state tutte fermate dall’opposizione del pm che non le ha considerate attinenti ai capi di imputazione di Rinascita-Scott.
Antonio Piccolo, in primo grado ad Asti, non ha negato la sua partecipazione alla rapina finita con la morte del tabaccaio, ma ha laconicamente ammesso il ruolo che gli era stato assegnato dalla pubblica accusa, ovvero quello di “palo”; per la Procura di Asti, infatti, ad aver compiuto materialmente la rapina e ad aver esploso i colpi di pistola che hanno ucciso Bacco, sarebbe stato il giovane Chiesi.