Ha attinto ai suoi esordi in vesti di avvocato difensore, il pm Stefano Cotti per spiegare con equilibrio la contrarietà dei giudici alla riforma sulla giustizia. E lo ha fatto questa mattina nell’aula del tribunale di Asti, insieme a molti altri suoi colleghi e in contemporanea a giudici di tutta Italia che, nella giornata indetta per lo sciopero, si sono recati nei Palazzi di Giustizia con la coccarda tricolore sulla toga e copie della Costituzione Italiana distribuite a pioggia.
«Intanto va spiegato che non si tratta di una difesa di corporazione – ha detto il dottor Cotti – con la separazione delle carriere nulla cambia sul fronte dei nostri stipendi e avanzamenti carriera. Anzi, forse lavoreremo anche meglio e saremo meno esposti alle critiche. La nostra è una difesa della tenuta dell’assetto costituzionale pensato a tutela di tutti i cittadini».
Perchè a tutela di tutti?
«Il processo viene spesso visto come una partita di calcio che vede in campo, ad armi pari, accusa e difesa fronteggiarsi senza esclusione di colpi davanti all’arbitro che è il giudice. Non è così. E’ un’immagine che non corrisponde alla realtà dei fatti».
E lo spiega bene. «Pm e avvocato difensore non sono alla pari. Ovviamente hanno pari dignità davanti al giudice, ci mancherebbe, ma diverse sono le loro funzioni. Il pm è mosso dall’interesse di accertare la verità dei fatti, non di ottenere una condanna a tutti i costi. L’avvocato persegue come scopo l’interesse esclusivo del suo assistito, come peraltro è giusto che sia. Ma è evidente a tutti che non si può paragonare il processo ad una partita di calcio con schieramenti alla pari».
E per Cotti e gli altri giudici, la riforma che sta marciando spedita, altera questo equilibrio a tutela dei cittadini e della giustizia.
Perchè, ha ancora affermato il pm Cotti, forte è il dubbio che un pm separato dal giudice apra la strada ad un controllo del potere esecutivo sulla pubblica accusa minando l’autonomia della magistratura, caposaldo della democrazia.
Tutti concordi nel dire che una riforma serve, e anche urgentemente, ma non per la separazione delle carriere (che prevede, tra l’altro, doppio Csm e istituzione di un’Alta Corte) bensì per dare nuove risorse al compartogiudiziario soprattutto in termini di personale, mezzi e dotazioni informatiche.
«Ci hanno calato sulle teste il processo telematico penale e non abbiamo neppure uno scanner per digitalizzare i fascicoli cartacei – spiega ad esempio il dottor Alberto Giannone, presidente di sezione penale del tribunale di Asti – Questa non è una riforma della giustizia, è una riforma contro i giudici e contro i cittadini».
Rispondendo anche alle maggiori obiezioni “numeriche” che vengono mosse all’attuale ordinamento giudiziario.
«Ci viene detto che un giudice è più propenso, nella sua decisione, a dare ragione ad un collega che non all’imputato – sottolinea ancora Giannone – A questo replico dicendo che le statistiche ufficiali parlano di una media che va dal 40 al 50% di assoluzioni sui processi portati a giudizio. Questo dato smentisce la “sudditanza” dei giudici ai loro colleghi pm».
«Già oggi il passaggio da pm a giudice riguarda meno dell’1% dei magistrati. Quindi un falso problema» ha aggiunto la dottoressa Bonisoli, gip.
La conclusione, amara, dei giudici astigiani in linea con i colleghi di tutta Italia è una sola: «In tutti i Paesi dove esiste la separazione delle carriere, si dà moltissimo potere al pm sul quale viene esercitata una fortissima pressione sia da parte della politica, sia da parte dell’opinione pubblica. La nostra Costituzione ha previsto un sistema molto equilibrato e a garanzia di tutti. Davvero vogliamo farne a meno?».