Sarà sicuramente una coincidenza, ma è di quelle che fanno accapponare la pelle.
Domani, venerdì, in Corte d’Appello di Torino, si discuterà il ricorso presentato dall’avvocato Silvia Merlino per conto del padre accusato di aver violentato nella casa di famiglia la figlia durante i permessi premio dal carcere.
Una storia brutta, raccontata dalla figlia stessa che si era costituita parte civile in primo grado.
Ma a rendere tristemente noto questo processo fu, esattamente tre anni fa, nella stessa data, lo “strappo” della sentenza da parte del presidente del collegio dei giudici chiamati a giudicarlo in primo grado. I togati, infatti, si “dimenticarono” che il processo non era finito ma che doveva ancora fare la sua arringa proprio l’avvocato Merlino, difensore dell’imputato per il quale venne letta già la sentenza di condanna a 11 anni. Processo annullato, apertura di procedimento penale a Milano (poi archiviato) per il presidente e di quello disciplinare davanti al Csm con censura per il presidente e archiviazione per le due colleghe con lui in collegio.
Il processo venne rifatto in tribunale ad Asti, ovviamente davanti ad un nuovo collegio di giudici che decretò nuovamente la colpevolezza dell’imputato, ma con una pena finale ridotta a quella della precedente condanna senza arringa: sette anni invece di 11 e la moglie, coimputata, venne assolta mentre nel processo annullato era stata condannata a 5 anni e 6 mesi.
Entrambi si sono sempre dichiarati innocenti, soprattutto l’uomo che ha sempre negato di aver abusato della figlia e ha sempre sostenuto che la denuncia è derivata dal divieto imposto alla ragazza di frequentare un ragazzo che viveva lontano da Asti e che per i genitori non era adatto a lei.
Per questo motivo il difensore ha fatto ricorso e riproporrà la lettura degli atti di istruttoria in questa direzione.