Si era già capito al processo che quelle due ore di filmati registrate da Floriana Floris con il suo cellulare era stata l’eredità più imiportante che potesse lasciare affinchè fosse fatta giustizia sulla sua morte.
Sono uscite le motivazioni della Corte d’Assise di Alessandria che ha condannato a 22 anni di reclusione Paolo Riccone, originario di Incisa Scapaccino, paese nel quale ha ucciso la compagna con 40 coltellate nell’abitazione ereditata dal padre, lo storico benzinaio del posto.
Quella sera, il 6 giugno del 2023, nella coppia era scoppiato l’ennesimo litigio e Floriana, pur non in piena forma, ad un certo punto si rese conto che le cose stavano prendendo una piega pericolosa. Così tenne sempre il cellulare in mano e registrò. Ne uscirono 7 video durante i quali si vede e si legge l’escalation della discussione e si sente nettamente che Riccone le propone di suicidarsi insieme, chiedendole di lasciarsi strangolare. E la donna che lo implora, gli dice di non avere nessuna intenzione di morire, di lasciarla stare. Fin all’ultima drammatica ripresa solo audio perchè il cellulare cadde dalle mani della donna che tentò di rifugiarsi in bagno venendo invece raggiunta ed uccisa.
Riccone ha ammesso con il pm, al primo interrogatorio, di essere il responsabile dell’uccisione della compagna, addebitando da quel momento in avanti dei gravi problemi di natura psichiatrica sui quali scaricare il gesto tremendo.
Ed è su questi che si è anche basata la difesa, assunta dall’avvocato Falco del Foro di Alessandria.
Anche il pm Guerra aveva voluto percorrere gli accertamenti in tal senso ma il suo consulente, il dottor Pugliese, aveva chiaramente sostenuto che Riccone fosse in grado di intendere e di volere al momento dell’omicidio.
Vero che gli era diagnosticato un disturbo della personalità con tratto narcisistico, ma questo non era sufficiente grave per sollevarlo dall’impunibilità. Si trattava di un disturbo sorto in età adulta mentre quelli contemplati per una sentenza di non condanna normalmente insorgono già in età infantile o adolescenziale. Inoltre solo pochi giorni prima dell’omicidio, Riccone era stato visitato da uno specialista che non aveva ravvisato una sua pericolosità nè condizioni tali da doverne disporre un ricovero immediato.
Ma ci sono anche alcuni comportamenti tenuti dall’imputato che hanno spinto la Corte d’Assise a crederlo capace di intendere e di volere. Fra queste le prime affermazioni fatte ai carabinieri intervenuti su richiesta della figlia di Floriana che non sentiva la madre da due giorni (tanto Riccone è rimasto chiuso in casa con il corpo senza vita della compagna). Riccone riferì, in stato confusionale e con i segni di un tentato suicidio, di aver trovato la donna in un lago di sangue al suo rientro a casa.
E proprio questo costruire una versione alternativa all’accaduto viene letto come sintomatico di una persona che è pienamente in sè avendo compreso la gravità di quanto fatto.
Inoltre, e qui sono ancora una volta i video a supportare la convinzione dei giudici, da quelle registrazioni rimaste nella memoria del cellulare di Floriana e che risalgono a poco prima dell’omicidio, Riccone appare calmo, lucido e non manifesta alcun scompenso psichico.
Di diverso avviso il suo difensore che ha già presentato ricorso sviluppando due temi principali.
Il primo è la critica all’esosità della pena, tenendo conto dell’incensuratezza dell’imputato e del fatto che, caso più unico che raro, all’inizio del processo avesse già risarcito la famiglia di Floriana per una cifra di 400 mila euro, frutto dell’eredità ricevuta dal padre.
Altro punto è ancora quello delle condizioni psichiche di Riccone.
Fin dalla perdita della moglie avvenuta anni prima aveva mostrato squilibrio mentale ed ha in cartella clinica svariati accessi ai reparti di psichiatria e ambulatori specialistici. Argomentazioni già portate in primo grado dal difensore Falco che aveva anche chiesto una perizia, negata dalla Corte d’Assise di Alessandria. Richiesta che verrà reiterata ai giudici di Appello giustificando anche il fatto che, se fosse stato in sè come dichiarato dalla sentenza avrebbe tentato di scappare, di cancellare le tracce e non avrebbe passato due giorni chiuso in casa a cercare di tagliarsi le vene dei polsi e ad ingerire candeggina.