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Cronaca
Carabinieri e Procura

Incolpa il gemello della rapina per sfuggire alla prova del Dna ma viene condannato

Il tribunale di Asti gli ha inflitto 9 anni e 4 mesi. Nel frattempo i carabinieri sono risaliti a due suoi complici: uno già in carcere per il processo Barbarossa

Negli stessi giorni in cui Daniel Lanza è stato condannato a 9 anni e 4 mesi per rapina, sequestro di persona e lesioni personali in riferimento all’agguato in casa ai danni del proprietario di una casa di Castagnito avvenuto nel febbraio del 2018, la Procura della Repubblica di Asti ha chiesto il rinvio a giudizio per quelli che considera i suoi due complici.

Si tratta di Patrick La Comare e Agostino Bruno, quest’ultimo già in carcere da maggio 2018 perché implicato nell’indagine Barbarossa su reati legati alle infiltrazioni di ‘ndrangheta fra Asti e Costigliole.

Secondo le indagini, Agostino avrebbe ricoperto il ruolo di basista, segnalando la casa in cui compiere la rapina che lui conosceva bene perché vi stava facendo dei lavori di falegnameria.

La Comare invece, è accusato di essere uno degli autori materiali della rapina, insieme a Lanza e ad altri banditi non ancora identificati. La sua presenza nella villa, al momento dell’aggressione, è sostenuta dal fatto che sue tracce genetiche sono state rilevate su un pezzo di corda con rampino che era stata utilizzata per scavalcare il muro di cinta.

E il Dna ha giocato un ruolo importante anche nell’identificazione e nella condanna di Daniel Lanza, anche lui collocato sulla scena della rapina a seguito del ritrovamento, sulla via di fuga dei rapinatori, di un passamontagna e alcuni frammenti di guanti di lattice sui quali era stato isolato la sua identità genetica.

L’indagine era stata coordinata dal pm Laura Deodato, cui era stata assegnata la soluzione di quel colpo particolarmente violento in cui un gruppo di rapinatori aveva fatto irruzione a mano armata dentro la villa e costretto il padrone di casa, sotto la minaccia di una pistola e dopo averlo picchiato, ad indicare dove si trovasse la cassaforte, ad aprirla e a consegnare un’ingente somma di denaro e orologi di pregio. Prima della fuga, poi, il gruppo di banditi aveva rinchiuso l’uomo in uno dei bagni di servizio della villa, senza finestre. Solo dopo molto tempo era stato dato l’allarme.

Sembrava un’indagine che inchiodava Lanza alle sue responsabilità se non fosse che proprio lui, negando di essere l’autore della rapina, ha contestato l’appartenenza del Dna rivelando di avere un fratello gemello dato in adozione.

La Procura ha così  imboccato una ricerca di questo gemello (di cui Lanza non aveva fornito né residenza né nuova identità) degna di un film. Partendo dal luogo e data di nascita dell’imputato era stata rintracciata l’ostetrica per confermare il parto gemellare e, con grande fatica, risalire al gemello adottato.

In effetti l’uomo condivide il Dna con l’imputato ma a suo favore è subentrato un granitico alibi delle ore in cui è avvenuta la rapina.

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